Isolino Virginia, patrimonio di pochi
Il sito Unesco irraggiungibile da parte del servizio pubblico. Sulle spiagge incuria e relitti. Il comune partirà coi lavori per rifare l’approdo e ristrutturare il ristorante
«Lavorare all’Isolino vuol dire viverci. E vivere all’isolino non è uno scherzo: c’è molto da fare, d’inverno è ghiaccio, d’estate caldo e umidità. Ci sono piante secolari da custodire».
Gianfranco Zanetti non si impegna a finire la frase, perché è sottinteso che in cambio, l’isolino ti dà albe come quella di oggi, neppure fra le più belle con tutta questa foschia, neanche delle più fresche coi trenta gradi alle 7.20, che ti accompagnano già dal pontile di Biandronno.
In cambio, infatti, l’isolino e questo pezzo di lago offrono paesaggi di una bellezza ineffabile.
Gianfranco, insieme ad altra “gente di lago” (hanno detto di scrivere così ma sono Mauro e Piergiorgio, anche loro Zanetti) si è offerto di accompagnarci a visitare uno dei quattro siti Unesco della Lombardia: palafitte, civiltà scomparse, natura.
Tutto, però, fuori dalla possibilità di essere fruito dal pubblico, come scrive in un’interrogazione parlamentare l’onorevole dei Cinquestelle Cosimo Petraroli, che ci ha dato lo spunto per capire da vicino a che punto siamo in questo lembo di lago, molto amato e altrettanto trascurato.
Il primo biglietto da visita suona male già al pontile di Biandronno dove partiamo con due barche: è un cartello appoggiato sul prato che indica che da lì si arriva all’isola; il secondo colpo d’occhio che fa cadere tutto ciò che sfida la legge di gravità lo si vede invece all’attracco dell’isolino, dopo un viaggio in barca della durata di cinque minuti: il barchino che serviva al trasporto dei clienti del ristorante o dei turisti è affondato da qualche mese; c’è una barriera artificiale che contiene l’uscita degli idrocarburi.
Il pontile è invaso dagli escrementi di un gruppo di germani: rimangono gli unici abitanti dell’isola, anche i gatti se ne sono andati.
Sulle spiagge residui naturali portati dalle piene e lì lasciati dall’abbassarsi del livello si contendono lo spazio coi pezzi dell’imbarcazione naufragata: un galleggiante, più avanti il tetto dell’imbarcazione: relitti. Un’altra barca è arenata sul prato.
L’erba è tagliata, ma i residui del primo tentativo di svuotare il ristorante da alcuni arredi oramai consumati dal tempo restano lì, appena fuori dall’immobile: ci sono lavandini, pezzi di plexiglas, secchi. A pochi metri c’è una palafitta riportata alla luce qualche anno fa: a farle compagnia ci sono bottiglie di plastica e palline di stagnola che escono da un bidone dell’immondizia. C’è il museo preistorico, chiuso, come il ristorante. C’è il cantiere di scavo, recintato, pari pari a come l’abbiamo visto e fotografato nello scorso autunno quando per via delle alghe, con un altro pescatore del lago, il Negus, siamo venuti a far visita a questo sito.
L’isolino c’è ancora, ma è del tutto irraggiungibile con mezzi pubblici: solo con barca o canoa si può arrivare fin qui.
Dal Comune di Varese, proprietario dell’isola, fanno sapere che sono previsti interventi a breve per la risistemazione dell’approdo: occorrerà rimuovere l’imbarcazione affondata e realizzare i lavori per dare la possibilità alle imbarcazioni di attraccare.
Questo intervento verrà fatto fra fine mese e i primi di agosto e avrà la priorità sull’altro lavoro sempre in capo a Palazzo Estense. Si tratta della ristrutturazione del ristorante: non solo l’intonaco esterno si sta staccando, ma sono probabilmente da operare i diversi adeguamenti agli impianti e ai bagni. Poi subentrerà il nuovo gestore: l’affidatario è il centro Gulliver società cooperativa arl Onlus che gestirà il bar ristorante, si occuperà della custodia dell’isolino e della sua manutenzione ordinaria. Sempre il Comune installerà telecamere di sicurezza del sito, che verrà dotato di impianto wi-fi.
Tutto bene quindi? I nostri accompagnatori liquidano la questione con un sorriso.
Le notizie che riguardano il futuro di questo luogo sono buone, anche se arrivano in ritardo non solo per la bella stagione, ma per quell’estate sbocciata alla periferia di Milano e che finirà a ottobre: si chiama Expo e in molti ne parlano come un’occasione per descrivere le bellezze della Lombardia.
I visitatori di Expo non possono raggiungere l’Isolino e se anche vi arrivano nessuno li accoglie, è loro preclusa la possibilità di visitare il museo o quella di bersi un bicchiere d’acqua.
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