Via Francigena, 17esima tappa: da Bolsena – Montefiascone
Il racconto della 17esima tappa del viaggio sulla Via Francigena del direttore Marco Giovannelli
Ci dispiace un po’ lasciare Bolsena. Stamattina la colazione nel bar a fianco alla Basilica di Santa Cristina è stata lunga. Ci siamo gustati fino in fondo la bella atmosfera di questa cittadina sul lago. Un altro elemento di rammarico è aver lasciato a letto Marco. Per il giovane catalano il sogno di festeggiare i suoi 31 anni a Roma in chiusura della Via Francigena si è infranto contro una tendinite. La diagnosi arrivata in tarda mattinata dopo una visita all’ospedale di Acquapendente non lascia dubbi: riposo assoluto per una settimana.
Oggi ho fatto io spesso da batti pista su e giù per le colline tra Bolsena e Montefiascone. Una strada che ci ha sorpresi tutti e tre per la bellezza e il continuo cambio di scenari. Siamo riusciti anche a guadare un torrente con le cascatelle. È incredibile come cambino le cose appena si lasciano le grandi arterie di comunicazione. Questa zona è casa mia, ma io non avevo visto nulla di quello che ho incontrato oggi. La Cassia è una bella strada, ma percorrerla in auto non permette di vedere tante cose. Da queste parti la Francigena è sentita davvero molto. L’avvicinarsi a Roma esalta molte vicende religiose ma non solo quelle. La Tuscia è stata teatro di tante storie comprese quelle del brigantaggio.
Appena siamo entrati nel territorio di Montefiascone ci ha accolto Renato Trapè, l’assessore alla cultura del comune. Ha voluto percorrere con noi gli ultimi sei chilometri per arrivare a destinazione. “Noi crediamo molto alla Via Francigena. Abbiamo avuto anche la fortuna che il km 100 è nel nostro territorio e si trova proprio di fronte alla chiesa del Corpus Domini”. In verità la strada da fare fino a Roma prevede ancora oltre 120 chilometri, ma Montefiascone ha calcolato la distanza che andrebbe percorsa se si facesse la Cassia che era la vera via originale.
“Per i pellegrini – mi dice sempre Renato – quello che conta è la sicurezza e l’accoglienza. Sul primo punto noi abbiamo lavorato molto e oggi il tratto sul nostro comune può esser percorsa senza nessun problema e la maggior parte della strada non è su asfalto. Per quanto riguarda l’accoglienza poi, abbiamo tre strutture religiose in cui potrebbero alloggiare anche cinquecento persone. A Montefiascone si sta diffondendo molto l’attenzione al pellegrino. Prima veniva visto con sospetto, quasi fosse una figura negativa. Oggi c’è invece un buona considerazione e tante realtà si stanno impegnando perché abbia ancora più sviluppo”.
All’ufficio turistico la signora addetta è gentilissima e sfodera tutte le sue conoscenze per aiutare chi arriva a chiedere informazioni. Loro hanno un timbro speciale per le credenziali in cui si mette in rilievo proprio i cento km dalla tomba di Pietro.
“Lo scorso anno hanno dormito da noi oltre tremila persone e questo dato crescerà molto. Noi ci crediamo e Montefiascone, oltre alla città dell’Est Est Est, è anche legata alla via Francigena. Siamo convinti che sia possibile far convivere le diverse anime del pellegrinaggio. È importante rispettare chi fa il cammino per motivi religioni, ma è altrettanto importante che alcuni soggetti con la propria presenza possano favorire un buon turismo. Questo consente di fare crescere ancora meglio l’offerta al di là del valore spirituale del cammino”.
Durante la nostra lunga chiacchierata sono riuscito anche a partecipare in diretta a Macondo, una trasmissione di Radio Popolare. Questo era il quarto collegamento dalla mia partenza e mi colpisce sempre sentire tanta attenzione a questo genere di “imprese”. Oggi abbiamo parlato dei luoghi della Tuscia, ma anche di materiali e preparazione. Cinque minuti piacevoli e intensi.
Finalmente, per la verità anche molto presto, siamo arrivati a Montefiascone. Renato, con il giusto orgoglio, mi ha fatto vedere da fuori gli edifici scolastici che per un comune di 14mila abitanti sono notevoli. Ci sono molte realtà di scuole superiori e questo qualifica la formazione dei giovani della zona. La lunga chiacchierata ha riaperto alcuni temi già affrontati quali il prodotto fisico della Francigena, la possibilità (seppur complessa) di avere un riconoscimento dall’Unesco, le diverse anime delle persone che si avvicina al cammino. Insomma anche con Renato siamo entrati nel vivo di diverse questioni fondamentali. Lui è un convinto sostenitore delle tante opportunità che la via potrà portare. Il suo lavoro sta caratterizzando sempre più il comune.
Per chiudere questa diciassettesima tappa potremmo usare la bella immagine di Richard e Alberto che brindano con i calici di Est Est Est. Un vino doc di questa zona è che prende il nome proprio da una scena tipica del pellegrino. Ve la ripropongo così come ben raccontata dalla classica Wikipedia. Domani arriverò a Viterbo e il mio giaciglio questa volta sarà a me noto perché mi fermerò dalla mia mamma. Intanto gustatevi la storia del vino che ha reso celebre Montefiascone.
Il nome di questo vino deriva da una leggenda. Nell’anno 1111 Enrico V di Germania stava raggiungendo Roma con il suo esercito per ricevere dal papa Pasquale II la corona di Imperatore del Sacro Romano Impero. Al suo seguito si trovava anche un vescovo, Johannes Defuk, intenditore di vini. Per soddisfare questa sua passione alla scoperta di nuovi sapori, il vescovo mandava il suo coppiere Martino in avanscoperta, con l’incarico di precederlo lungo la via per Roma, per assaggiare e scegliere i vini migliori in ogni luogo in cui passavano. I due avevano concordato un segnale in codice: qualora Martino avesse trovato del buon vino in una locanda, avrebbe dovuto scrivere est, ovvero “c’è” vicino alla porta della locanda, e, se il vino era molto buono, avrebbe dovuto scrivere est est. Il servo, una volta giunto a Montefiascone e assaggiato il vino locale, non poté in altro modo comunicarne la qualità eccezionale. Decise quindi di ripetere per tre volte il segnale convenuto e di rafforzare il messaggio con ben sei punti esclamativi: Est! Est!! Est!!!
Il vescovo, arrivato in paese, condivise il giudizio del suo coppiere e prolungò la sua permanenza a Montefiascone per tre giorni. Addirittura, al termine della missione imperiale vi tornò, fermandosi fino al giorno della sua morte (avvenuta, pare, per un eccesso di bevute). Venne sepolto nella chiesa di san Flaviano, dove ancora si può leggere, sulla lapide in peperino grigio, l’iscrizione: «Per il troppo EST! qui giace morto il mio signore Johannes Defuk». In riconoscenza dell’ospitalità ricevuta, il vescovo lasciò alla cittadinanza di Montefiascone un’eredità di 24.000 scudi, a condizione che ad ogni anniversario della sua morte una botticella di vino venisse versata sul sepolcro, tradizione che venne ripetuta per diversi secoli. Al vescovo è ancora dedicato un corteo storico con personaggi in costume d’epoca, che fanno rivivere questa leggenda.
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