Profughi: il ricordo più bello
Una bella testimonianza della nostra amica e collaboratrice Santina Buscemi sulla sua esperienza di volontaria con i ragazzi che ci hanno dato una mano alla Festa di Varesenews
Pubblichiamo una testimonianza della nostra amica e collaboratrice Santina Buscemi sulla sua esperienza di volontaria con i ragazzi che ci hanno dato una mano alla Festa di Varesenews.
Non posso dire agli altri quello che devono pensare della questione profughi. Non posso imporre il mio pensiero e non sarebbe giusto farlo.
Posso però raccontare quello che mi è successo durante questo weekend, alla festa Anche Io di Varese News, dove ho dato una mano nella ristorazione, a servire ai tavoli soprattutto.
E ho visto arrivare una decina di ragazzi, che seguivano il mediatore. Una decina di profughi, mi hanno detto provenienti dal Mali, dalla Costa D’Avorio e dalla Nigeria, arrivati in Italia da qualche mese e ospiti a Varese e Malnate.
Mi è stato chiesto di spiegare loro in francese cos’avrebbero dovuto fare: portare le bevande, o i vassoi, ai tavoli oppure ritirare i piatti sporchi e riportarli in cucina. Li ho visti ascoltarmi attenti e rivolgermi domande timide ed educate in caso non avessero capito qualcosa.
Li ho visti lavorare, eccome se li ho visti lavorare: facevo fatica ad andare a servire io perché loro erano subito lì davanti a prendere tutti quei vassoi, instancabili, tornavano e si rimettevano davanti, pronti a dare una mano. Alla fine del lavoro, pranzo o cena, quando gli addetti alle cucine chiedevano loro cosa volessero mangiare, li ho visti alzare le spalle, imbarazzati, e senza pretesa alcuna (ripeto: senza pretesa alcuna), accettare qualsiasi cosa venisse loro offerta.
Quella sera, venerdì, ne ho accompagnati tre a casa, a Varese. Io, una ragazza, da sola, ho accompagnato verso mezzanotte a casa tre dei ragazzi. Ebbene, non ho ravvisato alcun pericolo per me o la mia incolumità. Erano educati, gentili e rispettosi, è stato bello farli ridere quando ho sbagliato strada e mi sono presa in giro da sola.
I giorni di lavoro sono passati e domenica, quando li ho rivisti, ho ravvisato in loro maggiore sicurezza: forse il clima gioviale assaporato in quei giorni di festa li ha fatti sentire più a loro agio, benvoluti. A volte erano loro a iniziare un discorso, a regalare una parola a me e agli altri volontari… abbiamo commentato quanta gente ci fosse, abbiamo riso nel guardare un bambino impaziente che attendeva le sue patatine, abbiamo parlato delle nostre famiglie e uno di loro ha commentato che è bello io abbia il nome della mia nonna.
A un tratto uno dei ragazzi è venuto a chiamarmi: delle persone sedute al tavolo accanto a quello che stava sparecchiando gli avevano parlato, ma lui non ha capito cosa volessero. Sono andata a chiedere: vedendo il vassoio stra-colmo di cose, gli avevano chiesto “Ce la fai a portarlo? Vuoi una mano?”. Quando gliel’ho riferito mi ha sorriso. Ed è stato bello.
Alla fine della festa, dopo l’ultima serata, ho visto questi ragazzi chiedere a me e agli altri volontari di scattare qualche foto insieme, come se il tempo trascorso fosse stato tanto prezioso da volerne custodire un ricordo.
Ho visto tutto questo e sono loro, questi dieci ragazzi africani, il ricordo più bello che mi sono portata a casa.
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