Rivoluzione al Molina, licenziato anche il direttore generale

Christian Campiotti, presidente della fondazione, rinuncia al direttore Andrea Segrini. Previste alcune assunzioni, una redistribuzione di incarichi interni e una nuova strategia di comunicazione

Molina

In assenza di notizie ufficiali sulle nuova gestione della casa di riposo donata alla città dai fratelli Molina in tempi lontani e da sempre istituzione amatissima  dai varesini, si può dare un minimo di credito alle indiscrezioni che filtrano da viale Borri dove 500 persone  sono al servizio di oltre 700 pazienti. La  Fondazione  Molina in passato aveva incontrato qualche difficoltà nella gestione: gli organi di informazione  avevano puntualmente dato spazio a malumori e proteste, poi era calato un silenzio-assenso da  parte dei cittadini che la diceva lunga sulla validità del  nuovo sistema di assistenza  e degli uomini che ne erano responsabili.

A guidare il Molina il sindaco in carica indica presidente e amministratori, tutti  a compenso zero. Ci sono stati presidenti eccellenti, altri  forse tendenzialmente meno adatti al ruolo, ma comunque nella sostanza inappuntabili. Con il contributo di un professionista scelto come direttore generale dell’azienda il Molina ha trovato passo giusto e ottimi risultati grazie a un presidente competente come Guido Ermolli, scelto dal sindaco Fontana che lo aveva visto in azione come amministrativo a  Palazzo Estense.

Da parte di Fontana non c’è stata, a sorpresa, la conferma, al termine del mandato, di Ermolli: al suo posto Christian Campiotti, un professionista della politica nel campo Udc con esperienza  socio assistenziale a livello di assessorato  provinciale alla sanità. Il cambio della guardia ha suscitato polemiche, anche la nostra testata ha contestato la scelta del sindaco perché punitiva e “politica” a fronte dei risultati eccezionali del Molina che ha garantito un servizio formidabile alla città e bilanci strepitosi.

I nuovi arrivati si sono messi al lavoro: si hanno notizie di importanti mutamenti, come la rinuncia al direttore generale Segrini, due o tre nuove assunzioni, ridistribuzione di incarichi interni, trasferimenti e accantonamenti, scelte innovative come l’affidamento, si dice, a un organo di informazione del compito di curare l’immagine Molina. Una cura a pagamento.

I nuovi gestori della casa di riposo hanno il diritto pieno, incondizionato,  di fare qualsiasi scelta anche e soprattutto perché se ne assumono  la responsabilità, rimane la nostra perplessità in ordine a una rivoluzione in un piccolo pianeta dove tutto finalmente funzionava bene.

Saranno i bilanci e i controlli a dire se avevamo torto a protestare. Al momento non diciamo di più anche se assunzioni, licenziamenti, mutamenti di incarichi, insomma una vera rivoluzione “culturale”, alla fine avvengono a spese del Molina e indirettamente dei varesini che lo amano e lo sostengono con  donazioni.

L’ intervento sembra ricordare quelli da socialismo reale, da larghe spese, che non  sono mai stati nelle corde degli abitanti del nostro territorio. Speriamo di sbagliarci un’altra volta, per il bene di Varese e  soprattutto del Molina. A tifare per il nuovo corso c’è sicuramente il sindaco.

Eventuali difficoltà peserebbero nel suo bilancio politico personale. Nessuna responsabilità  invece per il sacerdote che per statuto  nel consiglio di amministrazione del  Molina rappresenta la chiesa varesina. Era assente quando il Consiglio ha votato il piano d’invasione. Un’assenza intelligente, molto. O detto anche per sorridere – il Molina resta, i politici passano – un bello scherzo da prete.

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Pubblicato il 08 Settembre 2015
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