Il genio di Aldo Rossi raccontato nella sua scuola
Il celebre architetto che ha realizzato le scuole Orrù è stato al centro di una giornata di studi proprio all'interno dell'edificio. Il preside: "Riportiamo la struttura alla sua bellezza"
Il 28 Novembre 2015, presso la scuola elementare Salvatore Orrù di Fagnano Olona, si è svolta la Giornata di Studi “Aldo Rossi, la scuola di Fagnano Olona e altre storie”. Il seminario, patrocinato dalla Fondazione Aldo Rossi, la rivista Domus, i brand Molteni&C. e Alessi, il comune di Fagnano Olona, il Politecnico di Milano e l’Ordine degli Architetti di Varese, è stato fortemente voluto dal preside dell’istituto, Mauro Riboni.
Alcune segnalazioni negli anni passati, fra cui una lettera pubblicata su VareseNews, avevano fatto sì che il preside prendesse coscienza del valore architettonico dell’edificio in cui, da Settembre 2014, esercita la sua carica. Si tratta infatti di una delle opere giovanili di Aldo Rossi (3 maggio 1931 – 4 settembre 1997), famoso architetto milanese, vincitore del premio Pritzker nel 1990, l’equivalente del Nobel per l’architettura. La scuola, fino all’anno scorso, non era in ottime condizioni, e quello che poteva essere un edificio di estremo interesse per architetti, studiosi e amanti di architettura, rischiava di cadere nel dimenticatoio e di perdere ogni traccia della mano del “maestro”. Avendo subito numerosi interventi di ammodernamento e messa in sicurezza all’interno, la struttura (uno dei due casi in cui Rossi si confronta con il tema della vita scolastica, insieme alla scuola di Broni) all’esterno presentava numerose lacune nell’intonaco, ma nell’insieme era ancora perfettamente riconoscibile. Quello che poteva essere un edificio di culto per i “Rossiani” e i postmodernisti (termine che Rossi non amava, “sono un post-antico”, scherzava), non era pubblicato e pubblicizzato, al punto che nemmeno gli abitanti di Fagnano Olona si ricordavano di avere un gioiello nel proprio territorio.
Da qui l’idea del dirigente scolastico di proporre una pubblicazione per “riappropriarsi” dell’edificio. Il dott. Riboni, ormai un anno fa, contattò l’arch. Rosario Bonicalzi, ex collaboratore di Aldo Rossi, nonché architetto incaricato della direzione lavori della scuola (il cantiere si è prolungato dal ’71 al ’75), che ha ampliato l’idea della pubblicazione in una giornata di studi, un seminario di architettura valevole anche per il riconoscimento di 6 crediti formativi professionali. Il progetto è stato infine corollato anche dalla mostra “Le immagini e le cose”, allestita nella biblioteca della scuola, ove saranno esposti fino al 13 Dicembre i più famosi pezzi di design progettati dall’architetto milanese per Molteni e Alessi e una serie di fotografie scattate da Marco Introini. Per l’occasione, la biblioteca è stata intonacata, riavvicinandola al suo splendore originario, segno che qualcosa si sta muovendo: “Abbiamo giù utilizzato i primi fondi destinati alla scuola”, ha dichiarato Riboni.
Bonicalzi, che si è avvalso della collaborazione di Francesca Belloni (Accademia di Architettura di Mendrisio e Politecnico di Milano), ha strutturato il convegno, tenutosi nell’aula magna dell’istituto, in tre parti principali. Dopo l’introduzione e i saluti del sindaco di Fagnano Olona, Federico Simonelli, del dirigente Riboni e di Chiara Spangaro, rappresentante della Fondazione Aldo Rossi, si è svolta la prima sessione del seminario, intitolata “I testimoni di una stagione”, caratterizzata dagli interventi dei collaboratori più stretti di Rossi. Assente per malattia il chairman designato, Nicola di Battista (direttore di Domus), il primo intervento è stato quindi di Rosario Bonicalzi. L’architetto fagnanese ha dato un quadro completo della poetica di Aldo Rossi applicata alla scuola in oggetto e ha sottolineato il continuo riferimento al teatro e al cinema nell’architettura del maestro. Ricorda di quando citava Fellini: “l’unico vero realista è il visionario, e Aldo era un visionario”.
Basta osservare i suoi disegni per capirlo, trasposizione su carta del suo processo logico. Si interrogava sull’importanza dell’architettura come scena fissa della vita dell’uomo, sulla necessità o meno di trovare una misura esatta agli spazi dei suoi ambienti sospesi e metafisici, di stampo de Chirichiano, con la sola differenza che quell’orologio all’ingresso della scuola funziona per davvero, ed aggiunge al progetto una quarta dimensione, quella del tempo. Poi introduce il tema della memoria, raccontando di come Rossi riducesse il progetto a tutto ciò che lo circondasse, perché è la memoria che permette di dare un personale apporto alle cose, e quello dell’osservare con occhio archeologico (il tema Nietzscheano del frammento, ampiamente ripreso anche negli altri interventi, e la sua giustapposizione paratattica). Ne esce un vivo ed entusiasmante ritratto di questo edificio “unitario ma non singolare”, che ha il suo fulcro nella biblioteca al centro della corte (“come il tempietto del Bramante”), intorno a cui si articolano, a pettine, le aule ritmate dalle zone a verde.
Il vero cuore dell’edificio, la biblioteca, è solo intuibile dall’esterno, come nel S.Carlone di Arona, tanto caro a Rossi. Ne risultata una scuola connaturata al contesto, che accoglie la nuova creazione “come se fosse lì da sempre”. Il progetto effettivamente realizzato ha lo stesso carattere che si poteva cogliere dai disegni: visionario.
Bonicalzi cede la parola a Angelo Torricelli (preside della Scuola di Architettura Civile, Politecnico di Milano) che sottolinea l’importanza di tornare all’origine ogni volta che si è in procinto di fare qualcosa di nuovo e di vedere la “forma che ha prodotto quella cosa”, portando l’esempio del Voyage d’Orient di Le Corbusier del 1911, due tematiche che esprimono la persona di Aldo Rossi come una sintesi di lucida razionalità e viva passione. Segue il divertentissimo intervento di Fabio Reinhart, collaboratore di Rossi all’ETH di Zurigo, il quale esordisce ricordando l’attualità e la necessità di questi convegni per la trasmissione ai giovani del pensiero di Rossi, in ottica anche di una nuova fortuna critica.
Parla di una necessaria “bonifica” delle fonti sulla poetica di Aldo Rossi, che oggi, a distanza di 30 anni dalle prime critiche che gli furono mosse, può essere studiato con uno sguardo più ampio e non solo tramite la prima lettura di Tafuri (“apologeti o detrattori, indifferenti pochi”, così si divide la critica su Aldo Rossi, dice Reinhart). Muove i suoi passi raccontando simpatici aneddoti (“gli feci notare che l’ombra da lui disegnata era sbagliata, e lui mi rispose: come l’ho disegnata io, è più bella”) e termina elencando il lascito di Rossi, consistente in un obiettivo (la città analoga), uno strumento (l’analogia) e un problema didattico (funzione come fine o origine).
A Reinhart succede Francesco Moschini (Politecnico di Bari e Accademico di San Luca) che traccia un interessante ritratto dell’università italiana ai tempi di Rossi (pre e post ’68), con l’importanza di Samonà e Portoghesi nel reintrodurre il problema del rapporto con la storia, non come progetto ma come modus operandi da estrarre, il quale giustifica il ritorno di Rossi ai solidi platonici che, “come in un quadro di de Chirico o David”, sottraggono le sue architetture al tempo, solidificandole “hic et nunc” e sono frammenti che vengono “montati”, per dirla con un termine cinematrografico, mantenendo tuttavia una “forzata autonomia delle singoli parti costruttive”. Anche Vittorio Introini, uno dei suoi primi assistenti, insiste sul tema del “frammentismo” (memoria volontaria vs. memoria sensoriale, analogia come qualcosa che la nostra mente ha assimilato e che ricompare nel progetto, e avvenimento). Prima del light lunch, c’è spazio per l’ultimo intervento della mattinata, quello di Gianni Braghieri (Facoltà di architettura di Cesena), che integra il discorso di Introini.
La seconda sessione, più soft, si intitola “Il segno e la forma” ed il chairman è il critico d’architettura Fulvio Irace, che introduce gli interventi di Francesca Molteni e Francesca Appiani (rispettivamente rappresentanti di Molteni e Alessi) e al termine sottolinea l’estremo interesse nel continuo salto di scala fra il design e l’architettura di Aldo Rossi. La terza ed ultima sessione, “Dialoghi a distanza”, vede invece protagonisti giovani studiosi di Aldo Rossi: Michele Caja (Politecnico di Milano), con un intervento sul tema della “colonna in Aldo Rossi”, la curatrice Francesca Belloni con “Dimenticare Milano”, Beatrice Lampariello (EPF Losanna), “Dallo scheletro alla lisca di pesce”, Claudia Tinazzi (Politecnico di Milano), “La costruzione di un percorso” e Francesco Bruno (Politecnico di Milano), “La Berlino di Aldo Rossi”.
Un appuntamento denso e ben riuscito, dove, con le parole del preside Riboni, si è potuto coniugare il lavoro degli architetti “che hanno il compito di portare verso il bello” con quello dei docenti “che devono portare verso il meglio”, per poi lanciare l’appello a chi ha invece “il compito di portare verso il bene”, i politici, affinché non si dimentichino più di questa scuola di valore e possa finalmente diventare luogo di aggregazione esteso a tutta la città, come era nelle idee di Aldo Rossi.
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