Terribili furono quegli anni “Soldati, emigrati, operaie” di un secolo fa
Un saggio di storia locale curato da Claudio Mezzanzanica, ricostruisce un travagliato decennio del Novecento

È un libro di guerra, ma anche di pace, di soldati e di operaie in un’epoca oramai lontana, ma non per questo da dimenticare, anzi: tante delle storie che in paese si tramandano da generazioni, partono proprio da qui.
Sono dieci anni, vanno dal 1910 al 1920, che cambiarono l’Italia e mutarono anche le vite di tanti italiani che combatterono diverse guerre: quella di Libia, la Grande guerra, e le piccole battaglie quotidiane degli indigenti, dei feriti e delle piccole mani delle operaie che nella filanda andavano a lavorare a 12 anni, e anche prima. Delle famiglie, con gli uomini al fronte, le bestie da accudire, i campi da dissodare.
Claudio Mezzanzanica, curatore del libro, ha raggiunto l’obiettivo di scattare un’istantanea della durata di un decennio grazie alla sua passione per la storia e a quella per i ricordi dei suoi compaesani: tutto nel libro “Soldati, Emigrati, Operaie – Comerio, 1910 1920” con un forte impianto iconografico dovuto appunto dalle decine e decine di volti di soldati, donne e lavoratori che i comeriesi hanno tirato fuori dai cassetti.
«Un grande aiuto, per la realizzazione di questo libro l’ho avuto dalle tante famiglie che hanno messo a disposizione le foto dei nonni e dei parenti che oggi troviamo fra le pagine del volume – ha spiegato lo stesso Mezzanzanica nel corso di una presentazione del volume in municipio a Comerio, in compagnia del primo cittadino Silvio Aimetti – . Molte delle informazioni sono state reperite dall’anagrafe, e dagli archivi parrocchiali, oltre che dall’archivio di Stato di Varese».
Ci sono anche diverse testimonianze che verranno raccontate e proiettate sotto forma di diapositive e di immagini in una serata che si terrà al centro polivalente domani sera, 6 novembre, alle 21.
Ci sono poi le storie, molte delle quali ancora oggi note in paese, altre svelate e che costituiscono vere e proprie chicche.
Storie di torti subiti, sofferenze provate da anni di guerra non riconosciuta dallo Stato; storie di vedove cui vennero negati i diritti sulle pensioni dei mariti e alle quali ad esempio venne imposto l’onere della prova circa la presenza del marito sul campo di battaglia: ad una civile, e in quei tempi, ben lontani dagli “open data” a portata di click a cui cominciamo solo ora ad abituarci.
Vengono poi le ingiustizie di quella temperie, legate alle disparità di ceto: sono 15 le lire al mese, paga di un soldato, contro le 2.000 di un sottotenente (lo stipendio medio di quei tempi è di 70 lire); sono le pensioni “a tempo” della durata di un anno elargite a soldati mutilati e malati di tubercolosi.
Esistono foto di spadaccini che incrociano le lame nel cortile del municipio, nato da una vecchia filanda che dava da mangiare a molti paesani.
E poi le storie di virtù e coraggio, come quella di Alberto Vanoli, classe 1899, tornato dagli Usa per combattere in prima linea: fu uno dei salvati, fra i 170 in armi di quel decennio di cui si dà conto nel libro; 26 furono i sommersi da quella guerra: la Libia prima (1911), il 15-18 poi.
Un ultimo dato, che deve far pensare a cosa sia stata la guerra in quei tempi per il tessuto sociale italiano: non già la portata dei morti e dei feriti, ma la sola gravità dell’esodo verso il fuoco: in armi si avviarono verso un futuro incerto quasi 1 residente su 10: la popolazione del paese sfiorava in quegli anni le 1.200 anime.
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