La polizia sta interrogando gli amici di Lidia Macchi
Le indagini sull'omicidio continuano, nuovo giro di convocazioni per raccogliere altre informazioni. Si cerca di chiarire, tra l'altro, se ci sia stato un complice

Bisogna cogliere l’attimo: insistere e sperare che qualche ricordo riaffiori tra gli ex amici di Lidia Macchi. E’ per questo che la squadra mobile di Varese, in questi giorni, sta ascoltando nuovamente gli amici della ragazza: quelli che le erano più vicini, ma non si esclude che il raggio di azione possa allargarsi. La strategia in questo momento è quella di puntare sull’indagine tradizionale, cioè raccogliere ricordi, dichiarazioni, sensazioni. Cercare riscontri anche sulle frequentazioni più strette di Lidia, sulla presunta vicinanza tra Stefano Binda, la Macchi e Giuseppe Sotgiu, che venivano considerati, insieme a P.B. – la prima testimone – un gruppetto di ragazzi spesso insieme nei mesi precedenti al delitto.

(Lidia Macchi)
Si tratta di “sommarie informazioni testimoniali”, che la polizia intende raccogliere nella più totale serenità da parte delle persone che saranno chiamate. Poiché a distanza di anni non ci sono più pressioni ambientali da temere, ma solo la ricerca della verità da assecondare. Dunque se è vero che P.B. ha dato avvio all’inchiesta su Stefano Binda con un suo preziosissimo ricordo di quei giorni (e le cartoline di Binda), in un ambiente che raccoglieva così tanti ragazzi, e così coeso, è assolutamente probabile che anche altre persone abbiano ritagli, agende, fotografie, ricordi, biglietti, che possano magari diventare un quadro complessivo più aderente possibile alla realtà.
Il punto è verificare ovviamente se davvero Stefano Binda e Lidia Macchi fossero così intimi come traspare dall’ordinanza e cercare ovviamente chi possa aver spedito la busta con la lettera “In morte di un’amica” che l’accusa considera scritta da Stefano Binda e che sarebbe la prova dell’omicidio, poiché descrive la scena del delitto. Tuttavia quella non contiene il dna dell’uomo arrestato.
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