“30 anni dopo il disastro vi racconto l’eco di Chernobyl”

Gabriele Vanetti ha visitato le zone attorno alla centrale di Chernobyl, abbandonate dal disastro dell'aprile 1986 ma nelle quali ancora oggi vivono diverse persone. Ora quel viaggio è diventato un libro

L'eco di Chernobyl

La maschera sul volto per filtrare l’aria, il contatore di radiazioni sempre in tasca e l’autorizzazione del governo nel zaino. E’ solo così che si cammina per le strade di quell’angolo di Ucraina abbandonato dopo il disastro nucleare di Chernobyl del 1986. «Entrare non è facile, è una zona molto militarizzata e sei seguito costantemente da una guida» racconta Gabriele Vanetti, un fotografo di Varese che lo scorso aprile ha visitato la zona con un gruppo di reporter.

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«Ho passato una settimana all’interno della zona evacuata» e in quei 30 chilometri di raggio che hanno chiuso la zona intorno alla centrale «senti solo qualche uccellino, niente di più». Una zona in cui il tempo si è congelato e in cui paure e timori, specialmente delle autorità, sono ancora alti «al punto che alla sera è in vigore il coprifuoco: in ostello facevano l’appello e poi ci chiudevano dentro». Fuori però, la vita continua. Non solo quella della natura che, lentamente, sta riprendendo il suo posto ma anche quella delle persone che vivono ancora all’interno di quella zona pericolosa.

«Ho incontrato diversi uomini e donne che sono tornati nelle loro case e che da anni vivono da soli in interi villaggi completamente abbandonati» al punto che «non hanno neanche l’acqua corrente, bevono dai pozzi contaminati dalle radiazioni; solo ogni tanto qualche volontario porta loro scorte di cibo per andare avanti». Le loro storie «sono una bastonata» e ricordano un po’ «quelle dei nostri nonni che, affezionati alla loro vita e al loro paesino, non lo hanno mai voluto abbandonare»

Ma da quel viaggio è iniziato un altro tipo di viaggio, «quello che faccio per raccontare ciò che ho visto». Gabriele va da gruppi e associazioni (il prossimo appuntamento è per venerdì 19 febbraio a Sesto Calende) «per descrivere e soprattutto mostrare quella parte di mondo che tutti conoscono, ma sulla quale circola anche moltissima ignoranza». Una narrazione che adesso si è anche arricchita di un libro fotografico che mostra gli ambienti spettrali della città di Prypiat, che permette di entrare nella centrale nucleare e avvicinarsi ai cantieri del gigantesco sarcofago che contiene (e conterrà) le radiazioni e che racconta le storie «di tutti quegli abitanti invisibili». Storie che saranno al centro anche di un nuovo ed imminente reportage dal momento che «ad aprile tornerò a Chernobyl, anche perché una delle donne che ho incontrato in un villaggio compirà 90 anni: bisogna festeggiare».

Marco Corso
marco.corso@varesenews.it

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Pubblicato il 19 Febbraio 2016
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