Schiava in casa, i vicini: “Non sapevamo nulla”

“Una famiglia tranquilla” il ritornello nelle case dove abitavano i parenti della giovane donna segregata

Cassano Magnago case popolari via Calabria

Una famiglia che non destava sospetti. Sarà un luogo comune, ma è quello che emerge quando si cercano informazioni sulla famiglia finita in carcere a Cassano Magnago con l’accusa di aver segregato e schiavizzato una ragazza di 23 anni.

La famiglia pakistana ha vissuto in due diverse abitazioni: fino a un anno e mezzo fa vivevano in una palazzina sullo stradone che porta a Cairate, appena fuori dal centro, dove oggi abitano ancora alcuni dei parenti arrestati. «Abitavano qui da dodici anni, anche di più» dice una vicina di casa. «Io non mi sono mai accorta di niente. Anzi: non posso dire niente di male, per me da fuori erano una famiglia felice e serena, anche i ragazzi erano educati, non si sentiva mai discutere o urlare. Finchè hanno vissuto qui mi sembrava che non ci fosse niente di male. È vero che con lei – con la ragazza non c’era dialogo, perché  non parlava italiano. Se l’avessi saputo…».

Cassano Magnago casa via Maroncelli

Nella stessa palazzina abita anche un’altra famiglia pakistana, che però non sa nulla della vicenda. «Io esco presto per lavorare, lei va ad accompagnare a scuola i bambini, non ne abbiamo saputo nulla. Proprio non sapevamo» spiegano in buon italiano. Nessun commento sulla vicenda: conoscono i loro vicini e forse preferiscono non esprimersi prima di conoscere. «Ora abitano qui solo alcuni, gli altri sono andati nelle case comunali».

Meno loquaci i vicini delle case popolari di via Calabria, complesso in fondo a via Gasparoli, dove la famiglia si era trasferita da poco più di un anno e dove l’altro giorno si sono presentati in forze i carabinieri.  Qui a fatica si riesce a ottenere qualche commento, anche se un paio di persone fanno notare che «lei non si vedeva mai, non la vedevamo mai». «Vedevamo gli uomini e anche la madre, ma lei no» conferma un altro residente. Qualcuno la ricorda più pallida e sofferente dopo la dolorosa vicenda del bambino perso a pochi mesi di vita, dopo una gravidanza travagliata e resa pià dura anche dalle violenze. Se ne parla rigorosamente dietro anonimato, perché nessuno sembra particolarmente voglioso di parlare: per i più resta una questione confinata dietro le mura di (un’altra) casa.

Commenta invece il sindaco della cittadina, Nicola Poliseno: ««Di parole ce ne sono davvero poche – ha detto – ,  ringrazio la persona che ha avuto il coraggio di fare la denuncia, perché dà un messaggio positivo a tutte le donne che sono vittime di violenza e hanno il timore di denunciarla per peggiorare la situazione. Si parte da quello, dalla denuncia»

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 24 Febbraio 2016
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