La salma di Lidia Macchi sarà riesumata
Si cercano tracce del DNA dell'assassino, che in carcere non risponde alle domande del procuratore generale di Milano Carmen Manfredda
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Si è avvalso della facoltà di non rispondere Stefano Binda, l’uomo detenuto nel carcere di San Vittore a Milano accusato di aver ucciso nel 1987 Lidia Macchi, allora giovane militante di comunione e liberazione. Binda, 48 anni, è stato raggiunto in cella dal procuratore generale di Milano Carmen Manfredda che conduce le indagini. Già in precedenza non aveva rilasciato dichiarazioni, e secondo i suoi avvocati continua a proclamarsi innocente.
Il prossimo passaggio dell’inchiesta prevede martedì a Varese una udienza per l’assegnazione dell’incarico ai periti, relativo alla riesumazione della salma di Lidia Macchi, ospitata da quasi trent’anni presso il cimitero di Casbeno. Il gip di Varese Anna Giorgetti ha dato il via libera. La speranza è quella di poter ritrovare delle tracce di DNA dell’assassino sui resti della povera ragazza.
La famiglia di Lidia Macchi nei giorni scorsi ha concesso la divulgazione di una lettera anonima, la seconda, ricevuta nel gennaio del 1987, nella speranza che qualcuno riconosca la scrittura e che, come accaduto con la prima lettera anonima, si possa dare un volto alla persona che imbucó il messaggio da Vercelli pochi giorni dopo il delitto.
La lettera tuttavia contiene un messaggio delirante e fu scritta da una donna che sosteneva di parlare con i morti, le speranze dunque non sono moltissime.
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