Lidia Macchi, la riesumazione e il testimone che non c’è
Il giudice decide martedì la data dell'esumazione dal cimitero di Casbeno, ma possibile che nessun amico abbia mai raccolto una confessione su quel delitto?
C’è attesa per la data in cui sarà riesumata la salma di Lidia Macchi. Il giudice ha convocato per martedì mattina in tribunale gli avvocati e nominerà i periti: dovrebbe contestualmente anche indicare una data, o un periodo entro il quale andrà effettuata la riesumazione e l’esame dei resti.
Si tratta tecnicamente di un incidente probatorio che necessita la presenza dei rappresentanti di tutte le parti in causa: la famiglia, la procura e i legali dell’imputato. La misura è stata richiesta dalla procura generale di Milano nel tentativo di scovare tracce di dna dell’assassino sui resti della ragazza uccisa a Cittiglio il 5 gennaio del 1987.
LIDIA CI GUIDA
La madre di Lidia, Paola Bettoni, ha dichiarato in questi giorni che affronterà con dolore la circostanza ma che è sempre stata convinta che sarebbe stata Lidia dall’alto a guidare la mano degli investigatori, il giorno in cui si fosse arrivati alla scoperta del colpevole. Una visione che in qualche modo rende alla famiglia meno doloroso questo terribile passaggio, se calato in una prospettiva di ricerca della verità. Che cosa si possa trovare dopo tanti anni, dipende dallo stato di conservazione dei resti e dai progressi della scienza. Ma secondo gli inquirenti della squadra mobile di Varese guidati dal procuratore di Milano Carmen Manfredda, seppure sia difficile, non si può escludere in assoluto che in quella bara del cimitero di Casbeno possa esserci qualcosa.
E’ lo stesso principio investigativo che sta guidando gli inquirenti anche nel Parco di Masnago, dove si sta ancora cercando l’arma del delitto. La filosofia di un’indagine “cold case”, a quanto ci pare di capire, è un po’ diversa da quella di un delitto “fresco”. Si tratta di andare a investigare su tracce e situazioni perse nel tempo, e necessariamente vi sono delle operazioni “indiziarie” che a prima vista appaiono meno risolutive ma che possono aiutare ad avvicinarsi alla verità con pazienza. Sono tutti tentativi che vanno fatti, dicono gli inquirenti, che tuttavia stanno seguendo una traccia precisa e cioè quella della concordanza tra chi scrisse la lettera anonima “In morte di un’amica” recapitata ai genitori il giorno del funerale di Lidia e chi la uccise con 29 coltellate al Sass Pinì di Cittiglio.
Una traccia nata da una trasmissione in tv e grazie alla pubblicazione sul giornale. E su questa linea di pensiero sembra essersi assestata anche la famiglia, che qualche giorno fa ha deciso di divulgare un’altra lettera anonima ricevuta nel gennaio del 1987 e spedita da Vercelli, in cui una donna scrisse di aver parlato con Lidia o con il suo spirito: la ragazza le spiegò di essere stata uccisa mentre difendeva la sua verginità dall’assalto di un presunto amico del suo gruppo. Una lettera delirante ma che si spera possa essere stata scritta da qualcuno che abbia usato una ricostruzione assurda per suggerire qualcosa di cui era a conoscenza.
Sull’indagine pende sempre l’incredibile distruzione dei vetrini che contenevano il liquido seminale trovato sul corpo della vittima, che come è noto furono eliminati per errore dal gip di Varese. Quello che manca però davvero all’appello è una confessione o una testimonianza di qualcuno che sappia qualcosa: solo Patrizia Bianchi ha finora indicato agli inquirenti una traccia, quando ha parlato della calligrafia di Stefano Binda sulla lettera. Ma in tanti si chiedono se qualcuno, tra gli amici della vittima, non abbia mai raccolto davvero una confidenza su quella notte.
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la Repubblica del 9.1.1987
UCCISA COME MARIA GORETTI
VARESE Le dieci pugnalate che hanno ucciso Lidia non sono per la famiglia Macchi solo una tragedia privata, ma anche un martirio, un tributo di sangue che il mondo ha preteso da una ragazza d’ altri tempi, brava, studiosa, impegnata nell’ aiutare gli altri, fervidamente religiosa: Sono orgoglioso, contento della figlia che ho avuto, perché ci ha insegnato la strada del bene. Per lei la verginità era un valore supremo assoluto. Sono certo che è morta per questo, per difendere questo valore in cui credeva. Così dice il padre, Giorgio Macchi, funzionario della Sip, convinto che la figlia sia stata uccisa da un maniaco, da qualcuno che, dopo aver cercato inutilmente di violentarla, ha sfogato la sua rabbia, la sua frustrazione, ammazzando in modo bestiale la sua vittima. Per gli inquirenti è solo un’ ipotesi tra le tante possibili, ma in casa Macchi non ci sono dubbi. La villetta sulla collina che degrada sul lago di Varese, con vista stupenda sul Monte Rosa, ieri era aperta a tutti gli amici di Lidia, i colleghi di università e i militanti di Comunione e Liberazione, il movimento nel quale la ragazza militava. Nel salottino dai mobili moderni, con ingenui quadri naif alle pareti, Giorgio Macchi accoglie ed abbraccia i giovani in giacca a vento e blue-jeans che arrivano per dire una parola di conforto, mentre gli altri familiari vanno e vengono per la casa con gli occhi gonfi di pianto. Era una ragazza aperta, dalle idee moderne, nella sua serietà e nel suo rigore continua il padre . Studiava legge perché voleva entrare nella magistratura, fare il giudice. Sarebbe stata un ottimo giudice, con tanta umanità e voglia di capire gli altri. Era innato in lei il senso dell’ equità, della giustizia. Scriveva anche poesie: proprio per Natale ci aveva preparato un bigliettino d’ auguri, uno per noi genitori e gli altri per i fratelli, con delle poesie delicatissime. Dell’ impegno di Lidia in Cl, il padre dice: Rispettavo la sua scelta, ne avevamo parlato. Avevo espresso dei dubbi: non mi piace, le avevo detto, quando la religione diventa fanatismo. Lei mi aveva rassicurato. Credeva in Dio, ma non era una bigotta. E adesso che mi accorgo di come può essere cattivo questo mondo, capisco di più questi giovani, che si trovano per pregare, per stare insieme. La vicinanza del gruppo di Cl Lidia Macchi era stata anche capo guida degli scout si era fatta sentire subito dopo che era scattato l’ allarme per la scomparsa della ragazza. Lidia era uscita di casa lunedì pomeriggio per andare a trovare un’ amica, Paola Bonari, ricoverata all’ ospedale di Cittiglio. Torno per cena, aveva detto al padre, che le aveva dato 10 mila lire per fare benzina. Era salita sulla Panda verde e aveva preso la statale. L’ ultima persona che l’ ha vista viva è stata Paola: Era serena, come al solito. Abbiamo chiacchierato un’ oretta e poi se ne è andata. Quando la famiglia non l’ ha vista tornare, a sera, ha cominciato a preoccuparsi, perché Lidia era una ragazza precisa, e mai avrebbe fatto tardi senza avvertire. A notte sono stati chiamati carabinieri e polizia. I genitori speravano in una scappatella amorosa ma Lidia pare non avesse alcun flirt o in un’ improvvisa crisi mistica, visto che la figlia aveva manifestato più volte il proposito di farsi suora. Hanno telefonato a Milano, in via Sila, dove Lidia condivideva un appartamentino con altre amiche, dove ogni tanto si fermava dopo le lezioni all’ università statale, dove studiava legge. Hanno chiamato un camping a Santa Maria del Monte, dove la famiglia ha una roulotte. Hanno provato con amici, amiche e parenti, e pure con le suore del Sacro Monte. Niente: sparita. Martedì sono cominciate le battute, anche con l’ aiuto di un elicottero, di carabinieri e polizia. Una trentina di amici e ciellini si sono organizzati in gruppetti, perlustrando la zona intorno all’ ospedale, la strada del lago, i dintorni di Varese. Alle 10 e mezzo di mercoledì mattina Roberto, Maria Pia e Antonio hanno notato la Panda tra le sterpaglie del Sass pinì, una zona frequentata la notte da drogati e qualche coppietta. Oltre il passaggio a livello di Cittiglio, per quella strada che si inerpica tra gli sterpi bruciati, la gente per bene non mette mai piede. Per terra c’ è un tappeto di siringhe, brandelli di riviste porno, lerciume. La Panda era lì, messa per traverso, con il sedile di destra e quello posteriore sporchi di sangue. A pochi metri, riverso, il corpo di Lidia martoriato dalle pugnalate: al torace, alla gola. Morta probabilmente da due giorni, lo stesso lunedì sera della scomparsa. Gli inquirenti si trovano ora di fronte un giallo di non facile soluzione. Chi può avere ucciso questa ragazza per bene, dalla vita senza ombre? Intorno all’ ospedale di Cittiglio circolano molti tossicomani. Racconta il cappellano dell’ ospedale: E’ un grosso problema. Spesso si abbandonano a vandalismi. In chiesa hanno bruciato tutti gli arredi sacri e aperto le cassette per l’ elemosina. Un’ ipotesi: Lidia, uscendo dopo la visita all’ amica, si è fidata concedendo un passaggio in macchina a uno di loro, che ha tentato di rapinarla. Non trovando soldi nella borsetta, si è vendicato uccidendola. Oppure è stato un maniaco sessuale, come dice la famiglia. Gli investigatori stanno seguendo tutte le piste, però non c’ è nulla di concreto. Gli amici di Lidia, quelli che le volevano bene, si sono trovati ieri nel Duomo di Varese: per pregare e chiedere pietà a Dio. Anche per l’ assassino.