La calza che piace alle donne
Confartigianato entra in un calzificio storico della nostra provincia, Lualdi di Busto Arsizio, per raccontare come un'attività considerata "tradizionale" può reggere alla concorrenza estera

Da tre macchinari sistemati alla bene e meglio in cantina, al capannone tecnologico con temperature e umidità controllate. Il tessile artigianale in provincia di Varese oggi è anche questo; da una parte una dimensione aziendale di tipo familiare e una dipendenza “forzata” verso poche imprese strutturate, dall’altra una qualità riconosciuta e apprezzata da consumatori e mercato.
Un esempio? Il calzificio Lualdi di Busto Arsizio, una vera garanzia per quel che riguarda le cosiddette calze riposanti in Nylon e Lycra.
Signor Lualdi, partiamo dalla storia del calzificio.
«L’impresa nasce qui in via Olgiate nel 1967 per iniziativa di mio papà Piero e mio zio Giovanni. All’inizio vi lavoravano solo loro, più qualche aiuto di tanto in tanto. Poi negli anni d’oro siamo arrivati ad avere anche dodici dipendenti. Oggi siamo in dieci, compresi i titolari: mio cugino ed io che ho iniziato a fare i primi lavoretti quando avevo 14 anni. Siamo sempre stati terzisti puri, prima per un grosso calzificio di Busto Arsizio, poi per uno di Vedano e infine oggi per una grande azienda di Somma Lombardo».
Lavorate in una nicchia che ha vissuto una profonda crisi. Un tempo l’intera filiera produttiva della calza era nel distretto italiano, in particolare nell’Alto mantovano. Oggi cucitura e in parte confezionamento sono fatti all’estero. Voi come avete fatto a superare crisi e concorrenza?
«Noi produciamo un articolo che viene fatto soprattutto nel varesotto. Questa calza si differenzia dall’articolo mantovano perché ha il “tallone” che facilita la vestibilità della calza, impedendo che la stessa si muova. Là puntano sulla moda e su calze di qualità diversa dalla nostra. Qui invece produciamo calze preventive riposanti: collant, gambaletti, autoreggenti, calze in grado di migliorare la circolazione. In tutto circa una trentina di articoli».
Avete fatto investimenti importanti nel 2006, poco prima dello scoppio della grande crisi. È questo che vi ha permesso di resistere?
«L’investimento grosso è stato il nuovo capannone e l’impianto di climatizzazione richiesto dalle nostre lavorazioni che consente, tramite un’unità di trattamento aria, di mantenere costanti umidità e temperature. Una vera rivoluzione se pensa che quando ho iniziato, da ragazzo, dentro l’azienda facevano anche 40 gradi. Oltre a questi investimenti abbiamo acquistato macchine a quattro cadute che consentono di incrementare la produzione e nel 2008 abbiamo installato sul tetto un impianto fotovoltaico».
Quante paia di calze escono dal vostro stabilimento ogni anno?
«A pieno regime possiamo produrre circa 960mila paia di calze all’anno. Oggi siamo a circa 600mila paia di calze su due turni giornalieri. La destinazione finale di questo prodotto, venduto dalla azienda per cui lavoriamo è nelle farmacie e nelle ortopedie italiane ed estere».
Cosa rimane del made in Italy e quali soluzioni vorrebbe messe in campo per tutelare il suo lavoro e quello dei suoi collaboratori?
«Per quel che riguarda la nostra esperienza aziendale bisognerebbe ridurre drasticamente il costo delle spese fisse. Ogni mese paghiamo migliaia di euro di energia. A questo si sommano il 54% di tassazione e la competizione dei mercati esteri sul costo del lavoro e otteniamo che è da circa tre anni che non riusciamo a fare investimenti seri in azienda. Poi bisognerebbe tutelare le nostre lavorazioni. I nostri filati sono tutti italiani, o Svizzeri. Il mio cliente usa coloranti a norma e anche questo incide sul costo del prodotto. Inoltre tantissime fasi di lavorazione sono ancora manuali e circa il 70% della nostra produzione è controllata da un addetto».
___________________
Calzificio Lualdi srl
Via Olgiate Olona 5, 21052
Busto Arsizio (VA)
tel. 0331 639119
fax. 0331 622281
mail: calzelualdi@libero.it
www.calzificiolualdi.it
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