La dura vita delle startup italiane
Le idee imprenditoriali innovative ci sono, mancano i finanziamenti. I venture capitalist italiani destinano 45 milioni di euro alle startup, contro il miliardo e mezzo di Gran Bretagna e il miliardo di Francia e Germania
«Degli imprenditori avevamo, abbiamo e avremo sempre bisogno. Perché sostengono i processi innovativi che sono alla base del- lo sviluppo dei prodotti e dei servizi destinati a migliorare le condizioni di vita delle persone. Sono la scintilla e il vettore del processo: percepiscono bisogni latenti, reinterpretano esigenze consolidate, identificano spazi di cambiamento, innovano l’offerta. Fanno crescere l’economia». Queste parole di Federico Visconti, rettore dell’Università Liuc, potrebbero essere il manifesto dell’imprenditore, compresi gli startupper. E forse non è un caso che il rettore le abbia inserite nella introduzione del libro “Startup! 25 anni di Università e impresa» (Guerini Next) che sarà presentato martedì 3 maggio all’ateneo di Castellanza (qui il programma).
La ricca rassegna di casi, tutti made in Liuc, evidenzia l’importanza di avere sul territorio un ecosistema dell’innovazione, di cui l’università, voluta 25 anni fa dagli imprenditori varesini, rappresenta un importante acceleratore. I numeri dicono che se c’è un territorio che, fatte le debite proporzioni, potrebbe rappresentare la Silicon Valley italiana questo è proprio il nord Italia, in particolare Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige, regioni dove si concentrano la maggior parte delle startup nostrane, con Milano capitale dell’innovazione.
Siamo ancora però molto lontani in termini quantitativi dai livelli di concentrazione di imprese ad alto contenuto innovativo e tecnologico presenti negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Germania. In Italia sono 5mila e danno lavoro a circa 25 mila persone con un valore medio molto basso, intorno ai 130mila euro. Il motivo di questa residualità è da ricercare nella mancanza di finanziatori che accettano il rischio nelle prime fasi di creazione di una startup, cioè venture capitalist e business angel, figure rare nel sistema italiano. Nel Belpaese quindi sono pochi quelli disposti a rischiare i propri capitali su idee imprenditoriali innovative. Inoltre negli Usa ci sono anche i grandi fondi di venture capital che finanziano le startup ad alto potenziale di sviluppo. Solo nel 2015 hanno destinato 6 miliardi di dollari a oltre 600 startup della Silicon Valley.
Il governo Monti nel 2012 nella persona del ministro Corrado Passera ha varato il decreto Crescita 2.0 per favorire la nascita di startup e imprese innovative con la possibilità di ottenere alcuni vantaggi fiscali utili nella fase iniziale, come l’esonero del pagamento delle imposte, dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria per gli adempimenti camerali e dei diritti annuali che spettano alla camera di commercio. Oltre a una detrazione irpef del 19% per le persone fisiche che decidono di investire nelle startup e del 20% se il finanziamento arriva da una società.
Detto questo, i finanziamenti alle startup italiane continuano a latitare. I venture capitalist nostrani hanno destinato nel 2015 circa 45 milioni di euro, contro i 24 miliardi di dollari investiti nelle 1.400 startup della Silicon Valley, il miliardo e mezzo di euro di Gran Bretagna e il miliardo di Francia e Germania.
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