“Il pride è fierezza contro la vergogna”
Alessandro Gini racconta le ragioni del gay pride. " Quando si parlerà di discriminazione per l’orientamento sessuale solo nelle lezioni di storia, allora forse ci renderemo conto di quanto sono stati importanti questi carnevali"
Fin da quando è stato annunciato il primo Varese Pride ho deciso di andarci, senza alcun dubbio. Ma in realtà, se devo essere sincero, a me piacerebbe che i pride non esistessero, o meglio, che non ce ne fosse bisogno.
Qualche giorno fa sul mio profilo Facebook ho scritto:
Finché ci sarà un candidato sindaco che dice che non celebrerà le unioni civili, finché ci sarà qualcuno che ucciderà persone per il loro orientamento sessuale, finché ci sarà qualcuno che esulta per questi episodi, essere in piazza sarà utile. Io sarò al #VaresePride e spero di trovare più persone di quelle che immagino. É probabile che di una manifestazione non si condividano al 100% i modi o i toni, ma il messaggio é uno, univoco e forte #loveislove.
Questa potrebbe essere in sintesi la motivazione per cui secondo me ogni persona dovrebbe essere motivata ad essere presente, al di là del proprio orientamento sessuale, perché il messaggio di fondo di un pride è quello di abbattere ogni discriminazione derivante dall’orientamento sessuale.
Il fatto che questo messaggio passi attraverso la rivendicazione dell’orgoglio di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali dà però fastidio a tanti, non solo tra le file dei più conservatori o politicamente schierati, ma anche tra coloro che spesso sono discriminati per queste ragioni e che sono i beneficiari dei diritti che i pride hanno aiutato a conquistare.
L’aspetto per cui in tanti criticano i pride sono i toni carnevaleschi che talvolta li animano che, secondo i detrattori, fanno più male che bene alla comunità LGBT, contribuendo ad associarla a scenari di perversione o semplicemente scarsa credibilità.
Mi è mai venuto questo dubbio? Qualche volta sì, sono un uomo di comunicazione e se considero il pride come uno strumento di comunicazione è tecnicamente corretto constatare che non sempre adotta un linguaggio rassicurante o politicamente corretto.
Ma il punto è che il pride è molto di più di una manifestazione per sensibilizzare verso una causa.
Prima di tutto c’è una componente di rievocazione storica, che ci riporta ai primi moti di rivolta del 1968 quando la comunità LGBT negli Stati Uniti decise di ribellarsi all’oppressione della Polizia, come è ben raccontato nel recente film Stonewall. Ebbene, la rivolta era capeggiata da una donna transessuale, Sylvia Rivera, e la manifestazione ebbe toni accesi e colorati (e pure molto violenti) anche in tono di sberleffo alle autorità.
E quindi ancora oggi, pride – che significa orgoglio -, sta ad indicare che vogliamo opporre fierezza laddove in tanti vorrebbero mettere vergogna. Fierezza di apparire per come si è, senza filtri, senza voler accontentare i perbenisti ma anzi, provocandoli. E poi, a ben vedere, l’etimologia della parola gay riporta proprio ad allegro, che dà gioia, come solo tanto colore, la musica e un po’ di eccessi sanno dare.
Dalla rivendicazione storica alla festa, perché con i pride si festeggiano anche i diritti conquistati (vogliamo parlare di Cirinnà?) e alle feste vere si fa baccano (avete presente DiCaprio in Titanic quando porta Kate Winslet alla festa di terza classe?).
E infine il pride ha una valenza di solidarietà tra tutte quelle persone che ancora oggi non si sentono sicure, protette, libere o rappresentate da una società che, senza voler arrivare ai fatti di Orlando, non permette a due ragazzi o due ragazze di tenersi per mano camminando in centro, figuriamoci darsi un bacio, come ogni coppia eterosessuale può fare tranquillamente.
Il pride è il momento in cui “ci si conta”, è il momento in cui ci si sente più forti e si capisce di non essere “anomali”. Per un ragazzino che ha appena scoperto la propria sessualità e che non ha il coraggio di parlarne perché magari è cresciuto con un genitore che guardando la TV a cena ha sempre bollato “i froci un male da eliminare”, sentire di non essere solo è importante, ed è anche un motivo di festa.
Ricordo come fosse oggi il mio primo pride a Roma nel 2004, o l’emozionante Torino Pride del 2006, a cui la città intera partecipò con gioia.
Quindi ognuno dentro pride vive la propria storia, dà il proprio contributo e porta a casa una solidarietà utile anche per combattere le battaglie personali nei mesi a seguire.
Quando finalmente dei gay pride non ci sarà più bisogno, quando si parlerà di discriminazione per l’orientamento sessuale solo nelle lezioni di storia, allora forse ci renderemo conto di quanto sono stati importanti questi carnevali. Che carnevali poi non sono, venite domani in piazza a vedere.
Alessandro Gini
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