IMF e piccole imprese: il concordato non basta
Confartigianato Varese interviene sul caso dell’industria di Creva di Luino: bisogna tutelare lavoratori e piccoli imprenditori
Una storia come tante, purtroppo. Una storia di crisi che è difficile raccontare perché di mezzo c’è il futuro di 127 lavoratori e di numerose piccole imprese che per la IMF (Impianti Macchine Fonderia) di Creva di Luino hanno lavorato e vogliono lavorare. Ancora.
La IMF non solo è una realtà importante del nostro territorio ma lo è dell’intera Italia: leader nel suo settore, ha sedi su cinque continenti e ha guardato prima di altre imprese alle opportunità offerte da Cina e Brasile. La Russia come mercato di riferimento, e poi l’embargo. Nel 2014 le prime voci su un possibile arresto dell’attività, poi la presa di coscienza: la IMF non ce la fa. E’ crisi. Le notizie di questi ultimi tempi preoccupano: lavoratori a rischio licenziamento, piccole imprese senza commesse.
Quando si pensa ad una grande industria si pensa, inevitabilmente, a quell’ingranaggio miracoloso che ha fatto grande l’Italia dagli anni Settanta ad oggi e che si chiama indotto. Piccole e grandi imprese, addirittura micro e artigianali, unite in un patto competitivo che fino ad oggi è stato alla base dei prodotti di eccellenza che ogni giorno uscivano dai cancelli della IMF.
Ora queste piccole imprese, legate alla realtà di Luino da una collaborazione che impatta in modo anche importante sui loro bilanci, stanno facendo i conti con una catena che si è spezzata. Perché l’anello debole di questa catena sono proprio loro, che attendono dalla IMF i pagamenti per i lavori consegnati e che non hanno le armi adatte per poter affrontare questi “buchi” finanziari. La IMF ha chiesto il concordato in continuità per poter risanare i debiti nei confronti dei fornitori: il consenso dai giudici del Tribunale di Varese è arrivato, ma per ora tutto sembra tacere. Il concordato è l’ultima spiaggia, spesso non è neppure lo strumento più utile, e sicuramente non quello più corretto, per risolvere situazioni come queste. Ma il silenzio preoccupa ancora di più: il rischio che le piccole imprese non vengano pagate, aumenta. Così come aumenta il rischio di mobilità per i lavoratori.
Il fatto è che il rapporto tra IMF e piccole imprese sconta, ancora una volta, quello che da più parti è visto come il punto debole del nostro fare impresa: manca la rete e un’idea funzionale di filiera. In poche parole, il rapporto tra grande industria e piccola impresa non può spingere sulla concorrenza tra i fornitori ma su un “accordo” che guardi da un lato al fatturato e dall’altro alla tutela di chi garantisce qualità nel lavoro. L’impresa dominante, nelle teorie economiche, è l’impresa che cresce e che diventa motore dello sviluppo locale perché trascina con sé la crescita anche delle piccole imprese che lavorano per lei.
In questa vicenda non può mancare l’attenzione e l’interesse delle istituzioni: IMF significa una marea di imprese di piccole dimensioni prossime al tracollo. E, di conseguenza, un ulteriore impoverimento della provincia di Varese già troppo interessata, in questi ultimi otto anni, da una crisi che non ha concesso tregua. Certo non è facile per nessuno trovare soluzioni valide in breve tempo, ma questo è l’impegno che la IMF si deve prendere per i suoi lavoratori e per tutte quelle piccole imprese ormai troppo esposte a livello finanziario.
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