Lidia Macchi, si scaverà anche a Cittiglio
Non sono mai stati rinvenuti gli occhiali della ragazza. In corso le analisi sulla salma
Si scaverà anche al Sass Pinin di Cittiglio, il luogo dove il 7 gennaio del 1987 venne rinvenuto il corpo senza vita di Lidia Macchi.
Lo ha confermato il magistrato che sta indagando sul delitto della giovane scout di Cl, oggi, a margine dell’udienza tecnica dal gip sulle analisi genetiche relative alla salma riesumata dal cimitero di Varese e sulle analisi circa le lame rinvenute nelle ricerche al parco di Masnago (Varese).
Il pg Carmen Manfredda (foto) ha spiegato che se il risultato sugli oggetti trovati nel parco non sarà soddisfacente, il passo successivo sarà quello di organizzare una ricerca anche nel luogo del delitto (fu la testimone Patrizia B. a dire invece che Binda aveva gettato un sacchetto a Masnago).
La speranza, in particolare, sarebbe quella di trovare sia un’arma compatibile con le ferite, sia un paio di occhiali da vista di Lidia che non furono mai rinvenuti. Questi ultimi secondo l’avvocato della famiglia Macchi, Daniele Pizzi, potrebbero dare indicazione del luogo in cui fu realmente aggredita la ragazza.
L’udienza ha trattato inoltre il tema della classificazione dei reperti trovati nella bara. A quanto si apprende, i tecnici stanno catalogando tutto, capello per capello. Siamo ancora lontani da una ricerca di dna appartenente a estranei. Ci vorranno diversi mesi.
Stanno lavorando all’operazione i Ris di Parma, l’Università di Firenze e l’istituto di Medicina legale di Milano. Un pool di tecnici qualificatissimi.
BINDA RESTA IN CARCERE MA L’AVVOCATO DISSENTE
L’avvocato di Stefano Binda, Sergio Martelli, ha osservato a fine udienza che queste ricerche potrebbero essere effettuate anche con l’indagato a piede libero. Tuttavia la Procura è sempre riuscita a ottenere dal tribunale la custodia cautelare.
Secondo Martelli l’uomo accusato del delitto non ha mai cercato di inquinare le prove. Piuttosto si era rivolto agli amici di un tempo, incontrati in una celebrazione religiosa a Brebbia nel giugno del 2015, dopo che ad agosto aveva appreso di essere indagato, perché voleva chiedere un consiglio su quale avvocato incaricare della sua difesa.
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Però adesso, dopo sei mesi di carcerazione preventiva del tutto arbitraria e immotivata, Stefano Binda deve essere liberato. Anche i sassi hanno capito che lui non c’entra nulla con l’omicidio di Lidia. I magistrati continuino a lavorare, possibilmente trovando prove e non distruggendole come hanno fatto negli ultimi 29 anni.
Speriamo che finalmente sia accolta la richiesta di libertà per Stefano Binda, dopo la vergognosa non-sentenza del Tribunale del Riesame chiamato a pronunciarsi sull’insussistenza delle esigenze cautelari dovute al pericolo di inquinamento delle prove. Prove che i magistrati hanno avuto a disposizione per anni e che hanno bellamente buttato via.