Uomini violenti e donne che aiutano le donne
Tanti casi di molestie e maltrattamenti soprattutto tra le mura di casa. Come funziona e cosa fa un centro antiviolenza “Non sempre la denuncia è la strada più facile”
«Uno schiaffo può valere uno schiaffo, mentre litighi, lo prendi, lo ridai e finisce lì: i bisticci esistono anche nelle migliori storie d’amore, può succedere. Quello che non deve mai venir superato è il limite della paura. Un concetto che da troppi secoli va avanti: io, uomo, ho un diritto su te che sei donna. E in quanto donna devi tacere. E quando hai paura stai zitta».
Antonella Luongo è un medico di base, figura importante, un po’ dottore del corpo ma a volte anche dell’anima, e forse per questo appare nei suoi discorsi molto concreta. In questi anni, di donne umiliate, vessate e a volte picchiate da uomini violenti ne ha viste troppe e così nel 2009 ha dato vita ad un’associazione “Donna Sicura” oggi forte di circa 35 volontarie, molte delle quali con una formazione specialistica.
Per far del bene, essere sostegno in questo campo è necessario formarsi, e poi formare: i nuovi ingressi vengono affiancati da volontarie anziane che sono a loro volta esperte dell’obiettivo del centro: affrontare il complesso problema della violenza sulle donne nelle sue diverse forme: domestica, sessuale, stalking e violenza assistita.
Uomini che picchiano le madri, le figlie e le proprie compagne. Bambini, e bambine in particolare che assistono a violenze fisiche e verbali della madre: è il caso della violenza assistita che è addirittura più pericolosa di quella subita perché crea un precedente psicologico, una sorta di attitudine a farsi trattare così una volta raggiunta la maturità: succede in famiglia, quindi è normale. Una catena che non si rompe facilmente.
Ma qual è l’iter a cui si accede a un centro antiviolenza? Cosa si deve fare?
«Lavoriamo molto col passaparola; amiche, conoscenti che caldeggiano direttamente donne oggetto di violenza a rivolgersi al nostro centro. Oppure persone che segnalano una situazione delicata vissuta da una donna. Poi è possibile accedere attraverso il nostro sito o contattando il numero 1522. Abbiamo uno sportello legale e uno psicologico».
Ma non è meglio denunciare alle autorità?
«Denunciare è una delle strade, ma non è quella che consigliamo. Anzi, in alcuni casi è l’ultima via da percorrere. È difatti preferibile valutare con serenità e chiarezza il contesto, per esempio la presenza di figli, la situazione economica e patrimoniale: tutti elementi di cui tenere conto per decidere quale percorso seguire».
Il “senso” del centro è far capire alla donna che quello che sta vivendo ha un nome: violenza.
«La più diffusa è quella di sminuire in maniera programmatica la donna: dirle che è brutta, che è grassa, che non capisce nulla, che non sa far da mangiare…e così si entra nella spirale della depressione e della perdita di stima. In questi casi può anche non esserci violenza fisica, ma è quella psicologica a produrre effetti che noi cerchiamo di contrastare».
E pensare che Varese può considerarsi un’isola felice perché vi sono ben 6 centri antiviolenza: Donna sicura a Travedona Monate, Eos-Icore a Gorla, Filo Rosa Auser a Cardano al Campo, Eva a Busto, e Rete Rosa a Saronno; a fronte di questi dati ci sono intere province italiane che non ne hanno neanche uno. Le denunce seguono l’iter italiano: siamo intorno al 20%, anche meno, rispetto alle vittime di violenza in generale.
“Donna sicura”, in seguito alla nascita 7 anni fa ha aperto nel 2011 uno sportello a Travedona Monate e poi a Sesto Calende: «E stiamo lavorando molto, dal momento che già a luglio abbiamo avuto un numero di richieste pari a quelle dell’intero 2015», afferma Antonella.
L’andamento della violenza di genere in Italia riguarda un lieve aumento dei casi di femminicidio, e una diminuzione delle violenze.
Una domanda da profano: fra i volontari ci sono uomini? «No, la figura maschile non è contemplata, diciamo che questo è un po’ uno dei capisaldi della nostra attività».
La parola femminicidio è oramai entrata tristemente nel lessico comune. Forse grazie anche a trasmissioni come “Amore criminale”: ma servono davvero? Oppure si rischia una spettacolarizzazione morbosa della violenza di genere?
«Amore criminale è una trasmissione seria perché spesso vengono interpellate le persone vicine alla vittima, gli investigatori e gli esperti. Si tratta di programmi seguiti che “smuovono”, fanno rumore intorno al tema della violenza, negli ultimi anni affrontato anche dalla politica: la legge sullo stalking, per esempio è del 2009. Ma non sempre è così: per esempio la Lombardia è la prima regione italiana per casi legati a violenza di genere ma che è stata anche l’ultima, nel 2012, a dotarsi di un piano regionale antiviolenza».
Donna sicura è una Onlus inserita nei registri regionali e provinciali delle associazioni di volontariato, rientra nella consulta femminile provinciale, e fa parte del numero antiviolenza 1522 del Ministero delle Pari opportunità; assieme ad altre associazioni ha organizzato la fiaccolata della scorsa settimana in ricordo di Loretta Gisotti, uccisa a martellate dal marito.
«Si, questo è stato solo l’ultimo dei casi di femminicidio nella nostra provincia – conclude Antonella – . A questo proposito un messaggio va anche a voi giornalisti e operatori della comunicazione ai quali dico: spiegate i fatti senza cercare giustificazioni. Perché nei femminicidi non ce ne sono. Mai».
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