Non studia e non lavora: un ragazzo su tre è un “neet”
Uno studio pubblicato da Eurostat mostra che l'Italia è il paese dell'Unione con la maggior quantità di "Neet" giovani che non studiano e non lavorano. Un allarme già lanciato da Confindustria
In Italia cresce il numero dei “NEET”. L’ultima fotografia della situazione dei giovani tra i 16 e i 24 anni arriva da Eurostat con l’indagine: ”Education, employment, both or neither? What are young people doing in the Eu?” .
Anche da questa ricerca risulta che in Italia ci sono troppi Neet, acronimo di Not (engaged) in education, employment or training”, insomma giovani che non fanno nulla.
Il nostro paese vanta persino il triste primato superando paesi con Grecia (26,1%), Croazia (24,2%), Romania (24,1%), Bulgaria (24,0%), Spagna e Cipro (entrambi 22,2%) ed evidenziando la crescita più cospicua dal 2006 a oggi: +9,5%.
La percentuale più bassa di Neet, invece, si ha nei Paesi Bassi (7,2%), Lussemburgo (8,8%), Danimarca, Germania e Svezia (9,3%), Malta e Austria (9,8%), Repubblica Ceca (10,8%).
A livello comunitario, sono quasi 5 milioni i giovani tra i 20 e i 24 anni (pari al 17,3%) che nel 2015 non hanno né lavorato, né studiato, né si sono formati.
La preoccupante fotografia, però, non è una novità. Proprio lo scorso anno, nel rapporto 2015 sul mercato del lavoro, Confindustria dedicava una nota alla situazione giovanile: nonostante l’anno fosse stato positivo su molti fronti ( aumento delle assunzioni rispetto all’anno precedente del +14,8% di cui il +52% a tempo indeterminato) emergeva che in Lombardia i giovani fra i 15 e 24 anni che vivono ai margini del mercato del lavoro sfioravano le 170.000 unità (oltre 155.000 NEET e 14mila disoccupati impegnati in corsi di formazione), più del 18% di questa fascia di età
La provincia di Varese non si sottrae a questo andamento. Sempre lo scorso anno da un’analisi, condotta dall’Ufficio Studi e Statistica della Camera di Commercio su stima Istat, emergeva che 27mila i giovani varesini erano classificati come NEET , quasi un giovane varesino su cinque tra i 15 e i 29 anni di età risultava inattivo. «Il fenomeno si sta acuendo – sottolineava Elena Provenzano, responsabile dello stesso Ufficio Studi e Statistica della Camera di Commercio –. Basti pensare che nel 2012, quando per la prima volta venne percepito come una vera e propria emergenza sociale, i numeri provinciali s’attestavano su quota 19mila. Il solo tasso di disoccupazione giovanile, che a Varese nel 2014 per le ragazze e i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 29 anni era al 19,9%, non riflette quindi appieno la situazione di disagio complessivo che in troppi casi li caratterizza: la realtà è che un’intera generazione rischia di rimanere esclusa dalla possibilità di realizzare il proprio percorso professionale, o perché non ha opportunità d’inserimento o perché rinuncia in partenza».
In termini più specifici: il tasso era pari al 21,7% per i maschi e al 21,1% per le femmine. Complessivamente, la quota di NEET varesini (21,4%) risultava superiore alla media lombarda (18,7%) e, a livello regionale, inferiore solo a quella di Como (24%).
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Ogni tanto bisogna anche essere onesti e senza peli sulla lingua. Perché se guardo una percentuale, e ripeto, una percentuale di giovani italiani di oggi vedo il vuoto assoluto. La vita passata a farsi selfie, mostrarsi sorridenti e festosi per poi non avere nessuna ambizione nella vita con conseguente assenza di voglia di lavorare e di fare i sacrifici. Ed i genitori sono molto spesso assenti, sono sono coloro che gli consentono di farsi una vita assolutamente inutile infarcendoli di smartphone da 1000 euro e la paghetta giusto per non rompere. Genitori che poi fanno la voce grossa quando scoprono che il loro “bambino” a 16 anni è già un disturbato sociale.
E via di psicologici del nulla.