Manca l’acqua, chiude il rifugio Dumenza
In secca il torrente che dà vita all’Alpe Bois, dove da gennaio sono passati oltre 3.000 turisti
«Cerco di difendere il mio posto di lavoro, ma anche e un bene pubblico».
Matteo Guglielmini, 61 anni, gestore da tre del rifugio Dumenza, a 941 metri di quota nel cuore del bosco, lancia il suo personale sos sulla pagina facebook di “Oggi nel Varesotto”, per un fatto grave che colpisce la struttura nel clou della stagione turistica.
All’alpe Bois, dove si trova il rifugio, manca l’acqua.
E Matteo, “esodato” che ha cercato tre anni fa di ricostruirsi una vita rimboccandosi le maniche e aprendo una luce nel bosco dove al tramonto si può sostare per una notte e mangiare un piatto di polenta, altro non può fare se non servire panini al salame e qualche birra in lattina ai tanti turisti che passano di qui.
Siamo lungo la sterrata che si dipana dalla strada asfaltata che porta al Pradecolo, da cui si parte per le escursioni per il Lema o per l’Alpone (Curiglia): qui da gennaio a oggi sono transitate oltre 3.000 persone: chi ha pernottato, chi si è mangiato un panino o ha fatto una sosta all’ombra per un bicchiere d’acqua. Che ora manca.
«Molti, moltissimi stranieri vengono da queste parti, come il gruppo di olandesi arrivato oggi e che non si è potuto fermare: “Chiuso?”. “Si”: non ho potuto dire altro. Tutta per colpa della mancanza d’acqua che da anni affligge questo posto d’estate. Ho chiesto più volte interventi sulla struttura, di proprietà comunale e affidata al Cai, con cui ho un contratto di gestione per cinque anni, ma sono anni appunto che aspetto i lavori. Così in questi giorni, nel pieno della stagione turistica mi è toccato mettere un cartello: rifugio chiuso».
Matteo sta aspettando che venga a piovere e che l’acqua si incanali nel letto del Cortesello, il torrente che lambisce l’Alpe e che qui vuol dire tutto: acqua potabile, possibilità di farsi una doccia, ma soprattutto energia in grado di muovere l’idroturbina che dà luce alla struttura, così da conservare gli alimenti e gestire una struttura ricettiva particolarmente apprezzata e conosciuta, capace di generare indotto.
«Oggi sto andando su, per riportare i piatti che ho lavato a casa – spiega Matteo, che vive a Cuasso, al telefono nel pomeriggio – . In questi anni ci ho messo veramente molto impegno sottraendo tempo alla mia famiglia, per credere in questo posto. Sono anni che attendo che vengano realizzati lavori per la creazione di un bacino idrico di captazione capace di assicurare continuità al lavoro di questa struttura anche per il futro: io non la gestirò in eterno, è un posto a dimensione di famiglia. Cosa vogliamo fare di questo luogo, costato come ristrutturazione 300 mila euro di soldi pubblici? Qualcuno si muova, e alla svelta: da queste parti è di moda riempirsi la bocca con le parole “turismo” e “territorio”. Ecco, il banco di prova è il rifugio Dumenza».
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