Gli operai della Imf tra speranze e realtà

Il fallimento dell’azienda apre scenari disastrosi per molte famiglie di lavoratori e per le tante aziende che lavoravano con la multinazionale di Creva

Avarie

Trenta, trentasette, quarantuno anni. L’anagrafica non è quella stampata sulla carta d’identità, ma rispecchia gli anni lavorati in un’azienda che oggi, 15 settembre, chiude.

Loro sono seduti ad un tavolo di fronte al caffè con barbe lunghe, salopette e sguardo di chi aspetta: da aprile sono in cassa integrazione, scuotono la testa per il posto di lavoro, la Imf dichiarata fallita tre giorni fa.

 

“Impianti, Macchinari, Fonderia” si legge nei cartelli della fabbrica a Creva, una multinazionale “tascabile” che con la Srl italiana controlla le altre figlie di una passione per l’internazionalizzazione dell’imprenditore Gabriele Galante, padre di un impero economico dove il sole non tramonta mai. Reti di vendita in cinque continenti, come ancora oggi riporta il sito.

Cinque unità produttive: oltre a quella di Creva c’è Imf Brasile, Francia, Repubblica Ceca, Cina. Un ufficio di rappresentanza in India.
Lunedì scorso una riunione coi dipendenti per la notizia, il fallimento, 120 lavoratori in mobilità – in un’azienda dove il rapporto operai-impiegati è di circa 1 a 3 – , oltre all’indotto, quantificato dal sindacato in 400 posti che ballano.

«Sono meno, sono tanti ma non così tanti gli addetti a rischio nell’indotto. Stiamo parlando circa di 300 lavoratori, forse qualcuno di più che potrebbero avere problemi» spiegano i tre operai; chiedono l’anonimato per raccontare di questa azienda che per così tanti anni li ha trattati coi guanti bianchi: stipendi alti, possibilità di forte crescita professionale, incentivi, lavoro.

Poi la battuta d’arresto e il tracollo: commesse saltate dalla Russia, problemi col mercato cinese, e forse acquisizioni industriali azzardate: ma sono ipotesi, ragionamenti che si diluiscono in tanti anni di lavoro all’interno dell’azienda e frutto di un conto salato presentato qualche giorno fa. Un conto che potrebbero essere non solo i dipendenti a dover pagare.

«Le aziende che lavorano con Imf di Creva non sono ovviamente presenti solo nel Luinese, stiamo parlando di centinaia di fornitori: aziende meccaniche, chimiche, metallurgiche, idrauliche, carpenterie e produttori di motori elettrici. Ci sono realtà, qui nel Luinese, con pochi dipendenti e in alcuni casi esposte con ampie fette del loro fatturato con Imf e che molto hanno da perdere da questo fallimento».

Una valutazione, quella dei creditori, che spetterà al curatore fallimentare. In azienda si parlava da tempo di offerte ricevute dalla proprietà, ma mai andate in porto. Arriverà ora un compratore? «Staremo a vedere» dicono i tre “vecchi” del mestiere che non credono al cavaliere bianco.

L’azienda eseguiva lavori di alta carpenteria, ma operava anche nella realizzazione di impianti e macchinari su misura, e con nomi che suonano nuovi ai non addetti ai lavori, come le “sparaanime”.

Tutte produzioni realizzate da operai esperti, e cresciuti in azienda, alcuni dei quali difficilmente però riusciranno a trovare una ricollocazione in un’area geografica difficile, e oramai priva di grandi impianti industriali; quelli esistenti stanno vivendo una lunga agonia del manifatturiero, crisi che da queste parti oggi fa rima con Mascioni; ieri con, Inda, Monterosa, solo per citare qualche esempio.
Difficile anche guardare alla Svizzera: «Costiamo troppo perché siamo troppo vecchi» dicono. Questi operai sono “quinto livello”: lavoratori che hanno una paga base di 2.000 euro al mese, che può arrivare a 3.000 con gli straordinari.

«Ora la nostra prospettiva è di rivolgerci ad agenzie di lavoro interinale che ti fanno assumere come secondo livello: vuol dire ripartire da zero, vedersi lo stipendio dimezzato e buttare all’aria la professionalità acquisita».
«Abbiamo letto della breve discussione avvenuta in consiglio comunale a Luino martedì scorso, delle promesse, e dei politici che si stanno muovendo solo ora. Le istituzioni ci vengano incontro perché il momento delle parole, e dei proclami, è finito da tempo».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 15 Settembre 2016
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