Socialmente alla scoperta delle comunità

Oltre cento studenti dell'area sociale per la Supsi hanno partecipato alla quinta edizione dell'attività residenziale. Sei ospiti tra cui Carla Del Ponte e il nostro direttore

Canton Ticino generiche

Sono oltre cento. Per qualcuno è un ritorno, per altri una grande novità e si legge lo stupore nei loro sguardi.  Sono tutti studenti della Supsi, una parte matricole e l’altra iscritti all’ultimo anno. Il luogo che ospiterà la loro esperienza è di quelli magici. Immerso nel verde nel comune di Sessa, in mezzo alle montagne e a pochi chilometri dal lago.

Socialmente è alla quinta edizione ed è una vera perla della scuola universitaria professionale della Svizzera Italiana. Si sviluppa lungo due giornate di Lavoro sociale ed è organizzato dal dipartimento economia aziendale, sanità e sociale.
L’attività residenziale per gli studenti Bachelor si è aperta al centro I grappoli a due passi dal confine di Lavena, con i saluti e la presentazione di Pascal Fara.
“Questa è un’occasione per condividere un “tempo del pensare” e un “tempo del fare” al di fuori del contesto scolastico e della quotidianità del percorso formativo. Un tempo sospeso da dedicare alla riflessione sui nostri obiettivi e i nostri valori e alla reciproca conoscenza umana, a prescindere dai ruoli professionali. La creazione di un ambiente capace di accogliere la diversità delle intelligenze e delle sensibilità e la costruzione di un sistema di conoscenze, aperto al dialogo e allo scambio, costituiscono una premessa fondamentale per il nostro Dipartimento”.

La prima giornata prevedeva sei brevi presentazioni con testimonial che hanno raccontato la propria esperienza rispetto al tema della comunità. Il pomeriggio è stato poi caratterizzato da altrettanti workshop specifici.

Ennio Ripamonti, psicologo e formatore ha aperto le testimonianze e ha parlato sul tema La comunità e il legame sociale.
“Il sociale si colloca tra teoria e prassi. Viviamo un’epoca dove conta più IO che non il NOI, che è il nucleo fondamentale della comunità. Viviamo un’epoca con una società individualista, dove prevale l’utilitarismo e il consumo non solo di beni ma anche di relazioni. Siamo immersi nella competizione. Il lavoro sociale deve generare dei NOI. Negli ultimi anni è tornato di moda il tema della comunità che deve misurarsi con questi scenari, ma anche con fenomeni nuovi di aggregazione.
Il lavoro sociale deve generare benessere per tutti e includere”.

Laura Culino, attrice e autrice è intervenuta su La comunità di destino. Una vera performance la sua. Un mix tra narrazione teatrale e testimonianza personale.
“Papà operaio e mamma sarta. Non avevo nessun segnale in famiglia per far l’attrice che è quello che ho sempre voluto fare. Quando a nove anni ci siamo trasferiti da Torino a Settimo torinese, in mezzo al niente, con altri ragazzi ci siamo dovuti inventare spazi sociali e culturali. È stato un lavoro duro, ma intanto per il 2017 questo paesone di 50mila abitanti si è candidato per essere la capitale della cultura.
Siamo stati un gruppo di ragazzi che pensavano di poter cambiare il proprio destino”. Agli studenti ha ripetuto: “Non abbandonate i sogni collaborate con l’incertezza e valorizzate ciò che avete. Se potete credere nelle relazioni e nelle possibilità di cambiamento”.

John Gaffuri è direttore della Fondazione Casa San Rocco dove sta sviluppando un nuovo modello di casa per anziani intergenerazionale.
“In Ticino nel 1900 gli anziani sopra i 65 anni erano il 7%, nel 2016 il 22% tra vent’anni saranno il 33%.
La speranza di vita delle donne nel 1900 era 49 anni, nel 2016 è passata a 84. Questo pone nuove sfide al sistema. Va creato un senso di comunità intorno all’anziano e non è vero che è un peso. Va promossa l’interagenazionalità. Promuovere invecchiamento attivo attraverso attività diverse. Si tratta di costruire ponti e legami. Imparare dalla diversità”.

Quando è arrivato il turno di Carla Del Ponte è calato ancor più silenzio. La sua esperienza dentro la giustizia internazionale è nota e i ragazzi hanno applaudito a lungo il magistrato che ha raccontato la barbarie delle guerre e i terribili sviluppi del conflitto in Siria.
“Dovevamo fare qualcosa per i conflitti e il Consiglio di sicurezza dell’Onu decise di costituire il Tribunale internazionale. Kofi Annan mi conosceva e così, dopo la candidatura del governo elvetico, divenni procuratore e iniziai a lavorare a L’Aia per i crimini nella ex Jugoslavia. Sono stata otto anni e quattro mesi di lavoro.
Da cinque anni sono membro di una commissione di inchiesta per la Siria. Nessuno vuole porre fine a questa guerra perché ci sono grandi interessi. Aiuto umanitario vuol dire occuparsi anche dei profughi. Il conflitto non risparmia nemmeno i bambini e questo fa male. Ne ho viste tante ma così terribili come in Siria mai”.

Marco Giovannelli, direttore di Varesenews, ha raccontato i territori delle comunità digitali.
“Il vostro lavoro è importante perché la cura delle persone ci riguarda tutti e non solo chi ha problemi. Questo richiede una diversa cultura e gli sviluppi della comunicazione digitale va nella direzione di permettere una maggiore interazione con le comunità. Viviamo nell’era della condivisione e gli sviluppi tecnologici permettono di avviare una fase nuova anche nel lavoro sociale. Cura, dono e servizio sono aspetti e valori che appartengono anche alla Rete. Si tratta di conoscere e stimolare una partecipazione positiva. A volte ci si spaventa e questo è comprensibile data la velocità con cui si è sviluppata la crescita dei nuovi strumenti”.

Ha chiuso gli interventi Graziano Martignoni, psichiatra e psicoterapeuta.
“Farsi comunità significa iniziare dalla propria interiorità. Questo non si impara all’università ma deve crescere con voi.
Fare l’operatore sociale vuole dire aprire due occhi. Quello che guarda fuori capace anche del l’etica della resistenza, di indignarsi di fronte a barbarie anche quotidiane. Noi dobbiamo dire No e assumerci la responsabilità dell’altro perché non ce la fa. Quello che guarda dentro, l’intimo di ognuno di noi”.
Martignoni anche sulla base della sua esperienza didattica ha lanciato un appello ai ragazzi.
“Difendete la diversità e la possibilità di fare comunità perché ci sia lo scambio e il dono. Siate giardinieri della vita. Attenti però perché comunità è una parola difficile e a seconda di come la su vive può diventare escludente”.

Grande lavoro dietro le quinte da parte di tanti docenti e collaboratori della Supsi tra cui anche la varesina Caterina Carletti che da anni collabora con l’università elvetica. Per gli studenti le due giornate rappresentano una occasione notevole e l’attenzione e partecipazione intorno ai sei relatori è stato il miglior segnale della validità della proposta della Supsi per questi giovani che studiano per entrare nei servizi legati al sociale.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 08 Settembre 2016
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