Davide Galli: “Siamo imprenditori non burocrati”
Il presidente di Confartigianato Imprese Varese chiede semplificazione: se l’impresa deve produrre, deve essere lasciata libera. E invita quindi il Governo ad agire in modo trasparente

«Se andiamo avanti di questo passo, gli imprenditori si sostituiranno allo Stato: e non solo nel riscuotere le tasse». Davide Galli, presidente di Confartigianato Imprese Varese, non le manda a dire. Valuta e premia i punti del Piano Nazionale Industria 4.0 del governo Renzi, caldeggia il superammortamento per i beni strumentali e l’iperammortamento per quelli tecnologici, sostiene il cambio di passo al quale si deve votare l’economia. Attende che la Legge di Bilancio, sabato 15 ottobre, arrivi in Consiglio dei Ministri e proprio per questo chiede una cosa chiara: se l’impresa deve produrre, deve essere lasciata libera. E invita quindi il Governo ad agire in modo trasparente.
In un anno 70 scadenze fiscali
L’azienda, quella piccola, da sempre svolge un ruolo sociale che dai tempi della crisi sembra essere stato dimenticato proprio da chi lo dovrebbe riconoscere: lo Stato. Anche se il presidente Galli condivide in pieno quello che è un punto fermo nei discorsi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Sul lavoro è fondata la nostra Repubblica, e creare lavoro è un impegno costituzionale vivo e attuale». Del lavoro che manca, dunque, non se ne devono fare carico le imprese ma le istituzioni. E le aziende, per poter andare avanti, non devono essere inceppate da vincoli amministrativi ingiustificati (che però ci sono e che possono avere un’incidenza sul fatturato complessivo anche fino al 10%), da regole poco chiare, da una normativa ingarbugliata, dalla sovrapposizione di adempimenti (sono circa 70 le scadenze fiscali che un’azienda si appunta sul calendario). Una volta per tutte è importante definire le norme, non continuare a cambiarle e lasciare che l’imprenditore faccia il suo lavoro. In Italia, la piccola impresa ne ha abbastanza ma resta qui: non siamo noi quelli che se ne vanno.
Linee di credito non per investire ma per pagare stipendi e tredicesime
Da anni Confartigianato avanza proposte sul taglio dei tempi lunghi dei pagamenti e dei processi amministrativi, della pressione fiscale che costringe le aziende a lavorare fino a giugno per lo Stato, a territori che invece di facilitare, ostacolano la nascita di nuove imprese. E poi, ciliegina sulla torta, gli imprenditori si sentono dire che non danno lavoro. Forse si sarebbe dovuta valutare la capacità di resistenza delle piccole imprese che, nei momenti peggiori della crisi, hanno addirittura deciso di affidarsi a qualche finanziamento pur di poter pagare le tasse, gli stipendi e le tredicesime.
Le tasse sono diminuite? Gli imprenditori non se ne sono accorti
Allora le imprese si sostituiscono allo Stato quando versano al fisco le trattenute, sociali o tributarie, sulla busta paga dei loro collaboratori spendendo tempo e denaro senza avere nulla in cambio se non una pressione fiscale che arriva al 64,8%. Secondo il Governo le tasse sono diminuite ma – ci dispiace dirlo – nessun imprenditore ad oggi se n’è accorto. Si parla sempre di tagliare il cuneo fiscale. Bene: in media, in Italia, un dipendente costa 31mila euro ma ne guadagna 16mila perché la differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta del lavoratore è al 46,7%. E i contributi sociali dei datori di lavoro ammontano al 25,6%.
Chi è il nostro socio maggioritario?
Lo Stato continua ad essere il socio maggioritario di ogni impresa ma anche di ogni famiglia. Basti pensare che in Italia ci sono 14 pagamenti annui mentre in Svezia ne hanno solo 6 e in Francia 8. In Italia ci vogliono 270 ore di lavoro per pagare le tasse e qualche imprenditore deve mettere 72 firme per ottenere un finanziamento dalla banca.
Siamo imprenditori, non burocrati
Non si può pretendere che gli imprenditori facciano quello che non compete loro, e che accettino sempre nuove sfide senza ottenere credito e fiducia. La mancanza di lavoro va affrontato integralmente agevolando le imprese da una parte e i potenziali lavoratori dall’altro. Perché spesso ci si dimentica che un’impresa più libera non solo può crescere meglio, ma può anche tutelare meglio i propri collaboratori.
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