Quando Varese era protagonista del Risorgimento

Pierfausto Vedani intervista il professor Giuseppe Armocida alla vigilia del convegno che la Società Storica Varesina propone nella ricorrenza dei 150 anni dal 1866

Eleuterio Pagliano, Lo sbarco dei Cacciatori delle Alpi a Sesto Calende del 23 maggio 1859

Caro prof, nei giorni scorsi ringraziandoLa per il grande lavoro svolto per la crescita culturale dei futuri medici dell’Insubria e della comunità civica auspicavo che Lei non rinunciasse a compiti che aveva già svolto con successo, come per esempio quando fu assessore a Palazzo Estense. La mia distrazione ha una lunga storia e infatti mi ero dimenticato che Giuseppe Armocida da tempo è abile timoniere degli storici varesini: non a caso a pochi giorni dall’inizio della sua pensione ecco la notizia di un convegno nazionale sulla Terza Guerra di Indipendenza a 150 anni dal suo inizio. Che ruolo ha avuto Varese in quella serie di eventi bellici che tra l’altro avrebbero confermato la debolezza militare italiana in occasione dei conflitti del Risorgimento?

«Il ruolo e la partecipazione di Varese alla Terza Guerra d’Indipendenza saranno il tema conduttore del convegno che la Società Storica Varesina propone nella ricorrenza dei 150 anni dal 1866. La mattina del 15 novembre, nella sala del Risorgimento dei Musei Civici di Villa Mirabello, si tratteranno i temi generali della politica, della società, della cultura scientifica e letteraria della giovane Nazione e naturalmente si parlerà anche della sfortunata campagna di guerra che vide il nostro Esercito sconfitto a Custoza e la nostra Marina soccombente a Lissa. Una relazione tratterà della Croce Rossa Italiana che, appena nata, iniziò ad operare proprio in quella campagna di guerra. I relatori del pomeriggio, invece, si intratterranno soprattutto sugli aspetti varesini. Dobbiamo ricordare che in Varese – città già garibaldina – si concentrarono in quell’estate 1866 molti dei volontari arruolati con i Cacciatori delle Alpi. Tra loro un cospicuo numero di varesini, alcuni dei quali destinati poi a posizioni di rilievo nella storia locale e pure in quella nazionale (Giulio Adamoli, Rinaldo Arconati, Giuseppe Bolchini, Federico Della Chiesa per citare solo i più noti).
E non dobbiamo dimenticare che i reggimenti garibaldini erano stati condotti per le montagne verso il Trentino fino al vittorioso successo della battaglia di Bezzecca. Mentre le truppe regolari subivano la sconfitta in pianura e sul mare, Garibaldi poteva dirigersi su Trento e si fermò solo all’ordine di Lamarmora, al quale rispose il 9 agosto con il celebre “Obbedisco”.
Comunque l’andamento della guerra austro-prussiana nel nord Europa, con la sconfitta degli Asburgo, consentì alla nostra pur debole diplomazia di unire in quell’anno Venezia e il Veneto al giovane Regno che aveva appena trasferito il Parlamento da Torino a Firenze e non sarà inutile interrogarci con visioni storicamente aggiornate sugli avvenimenti nazionali di quel momento».

Anni or sono sembrava che Varese fosse destinata a rimanere in secondo piano nella vicenda risorgimentale e dobbiamo proprio a nostri uomini di buona volontà se sono state recuperate pagine molto interessanti sull’ impegno garibaldino della città. Può ricordare in sintesi i passi di questo recupero storico che oggi ci offre una Varese positiva protagonista anche nella Terza Guerra di Indipendenza?

«Dobbiamo sempre considerare la centralità di Varese, del Varesotto e dei Varesini nella gran parte delle imprese di Garibaldi. Rientrato dal Sud America, il Generale si scontrò per la prima volta con gli Austriaci a Luino nell’agosto 1848. Con lui, l’anno seguente, alla difesa della Repubblica Romana, c’erano e morirono Francesco Daverio, il Morosini e Enrico Dandolo, uno dei figli di Tullio (l’altro, Emilio, fu gravemente ferito), tutti varesini. Non occorre certo ricordare la vittoriosa campagna dei Cacciatori delle Alpi, da Sesto Calende a Varese e a San Fermo nel 1859, né l’impresa dei Mille del 1860, mentre sappiamo che dei Varesini accompagnarono ancora Garibaldi in Sicilia nel 1862, quando fu fermato in Calabria, ferito all’Aspromonte. E pure dopo il 1866 che ricordiamo oggi, anche l’anno seguente c’erano stati dei Varesini con Garibaldi quando fu sconfitto Mentana nel 1867, nel tentativo di entrare in Roma. I reduci con la camicia rossa continuarono per decenni ad animare le ricorrenze patriottiche in Varese ed ancora a Novecento inoltrato gli ormai pochi superstiti, molto vecchi, venivano onorati e celebrati pubblicamente. La città continuava a sentirsi garibaldina.
Però, sulla Terza Guerra d’Indipendenza lo sguardo storico si era posato poche volte. Dobbiamo riconoscere che anche il nostro maestro Leopoldo Giampaolo, che ha spiegato in diversi volumi le vicende risorgimentali, al ruolo di Varese in quell’anno aveva dedicato solo poche pagine del fascicolo IX della Rivista della Società Storica Varesina, nel 1966 quando si celebravano i 150 anni dell’elevazione di Varese a città.
Ci spiaceva dunque vedere che – forse distratti quest’anno dalle tante manifestazioni per il centenario della Grande Guerra – stava chiudendosi il 2016 e non si parlava di quella significativa tappa del Risorgimento.
La nostra iniziativa è stata apprezzata dall’Istituto per la Storia del Risorgimento e i lavori del convegno saranno aperti proprio dal professor Romano Ugolini, presidente nazionale dell’Istituto. È chiaro che una città “garibaldina” ha sentito più delle altre il dovere di uscire dal generale silenzio e di organizzare questo incontro al quale parteciperanno, insieme ai nostri studiosi locali, dei professori di diverse Università italiane.
Per chi non la ha ancora visitata, sarà l’occasione anche per ammirare l’allestimento della sezione del Risorgimento dei Musei Civici. Tolta molti anni fa dal locale del piano superiore di villa Mirabello, la collezione di armi, quadri e documenti era stata nascosta a lungo nei magazzini e da poco tempo ha potuto trovare una nuova e bella collocazione, ponendo al centro dell’attenzione dei visitatori il grande quadro del Pagliano che con meticolosa precisione raffigura i Garibaldini sbarcanti a Sesto Calende nel maggio 1859. Siamo grati al Comune che ospita il nostro convegno e alla sempre operosa dottoressa Serena Contini, conservatrice della sezione».

Ci furono poi eventi e motivi, compresi declino e morte di Garibaldi, che portarono, si era nel 1882,l’Italia al fianco di Austria e Germania: la famosa Triplice alleanza difensiva che lasciammo nell’aprile del 1915 per passare dalla parte di Francia e Inghilterra. Che cosa si può dire della fiamma dell’amore garibaldino nel Regno d’Italia e in particolare a Varese in questi 33 anni di Triplice Alleanza. E’ interessante sapere anche come la lunga dittatura fascista gestì la vicenda delle camicie rosse. Grazie al Partito Comunista ci fu poi un grande rilancio garibaldino durante la lotta di Liberazione. Oggi il Risorgimento, che nel tempo ha avuto più letture, sembra diventato un patrimonio comune e più ancora è di tutti Giuseppe Garibaldi che voi storici qui a Varese avete anche tenuto lontano dalla retorica. Sino a che punto può essere accettabile questa interpretazione del notevole recupero risorgimentale e garibaldino che vi viene attribuito?

«Per noi nati nella prima metà del secolo scorso, la conoscenza del Risorgimento era un obbligo di istruzione che si innestava nella cultura dello scolaro di quinta elementare, si rinnovava alla terza media e si consolidava nell’ultimo anno di liceo. Ripetendocelo tre volte nel nostro percorso di studenti, sapevamo tutti quasi tutto quel che una retorica patriottica ancora dominante pretendeva sapessero i cittadini istruiti. Nella didattica di oggi quel tipo di informazione storica è più rarefatto se si incontrano studenti universitari che ignorano persino i nomi di Solferino e San Martino. Ma ciò non ci scoraggia, anzi serve da stimolo per continuare a lavorare sulla storia. Oggi avrebbe meno senso continuare a proporre nelle scuole una valorizzazione dei riscatti delle nazionalità ottocentesche, come si proponeva a noi. La didattica ha dei nuovi compiti per presentare alla coscienza degli allievi i grandi drammi più recenti, le tragedie delle guerre mondiali che a noi giovanotti di sessant’anni fa quasi non venivano spiegate. Anche la lettura delle guerre risorgimentali si deve aggiornare nel confronto con i grandi capitoli della storia precedente e successiva. Non operiamo quindi per un semplice recupero risorgimentale e garibaldino, ma per far comprendere come variano i valori condivisi, come sia facile aprire e più difficile chiudere i conflitti e come all’uomo libero sia stato in ogni tempo e sia ancora oggi facile togliere la libertà e la vita».

Prof, se a Varese si sono recuperati Garibaldi e il Risorgimento, alla cultura può riuscire di dare un contributo al rilancio della nostra comunità in difficoltà come il resto del Paese?

«Conoscono tutti bene l’attrattività dei capitoli monumentali ed artistici, maggiori e minori, della nostra provincia, come del suo paesaggio naturale. Sono motori di tante attività non solo intellettuali, oggi anche economicamente rilevanti. Noi crediamo comunque che una cultura storica sia il fondamento indispensabile per muoversi e agire con capacità critica e riflessiva. Del resto, con l’esperienza della Società Storica Varesina che è nata nel 1930 ed ha vissuto in solitudine per mezzo secolo, da qualche anno ci siamo accorti del sorgere di tante nuove iniziative e abbiamo salutato con piacere il nascere di nuove associazioni e di nuove riviste. Si stampano molti più libri, che vanno nelle librerie a vantaggio della istruzione diffusa e a sollievo della nostra tradizionale industria tipografica. Significa che i pochi interessati lettori di un tempo hanno fatto scuola e si sono moltiplicati. Ce ne rallegriamo».

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Pubblicato il 12 Novembre 2016
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