Le piastrine perdute sul fiume Don. Un velatese nella ritirata di Russia
Il 26 gennaio 1943 la battaglia di Nikolajevka, momento culminante della ritirata di Russia. 70 anni dopo, il fango restituisce le tracce di un soldato varesino
Il fiume Don è quasi invisibile: largo, carico di acqua del disgelo, ma nascosto tra le sponde erbose, sotto il villaggio di Verchenij Mamon. È qui che nel 2013, a distanza di 70 anni giusti, sono ricomparse le piastrine di un soldato italiano: “Vittore Taglioretti – Velate” era la traccia da seguire.
Le due piastrine in metallo – data di nascita, nome, cognome, nome dei genitori – sono ricomparse a Verchnij Mamon, un villaggio nella regione di Voronež, dove il fiume traccia una delle cento e più anse tra le sponde di gesso ed erba alta, in estate. Nell’inverno del 1942-43 invece la terra era neve e trincee: là dove il Don faceva da linea del fronte, il villaggio di Verchnij Mamon (nella foto d’apertura dell’articolo) era l’unico punto in cui i russi erano riusciti a tenere tenere un lembo della sponda destra, spina nel fianco delle linee tenute dai soldati italiani. Da qui partì il primo attacco dell’11 dicembre 1942, primo di una serie che provocarono lo sfondamento: centinaia di carri armati russi superarono le truppe italiane, chiudendo alpini e fanti in una morsa mortale, la “sacca del Don”. Lasciato il fiume, gli italiani dovettero marciare per centinaia di chilometri, prima le fanterie, poi gli alpini rimasti fino all’ultimo sul Don: il 26 gennaio 1943 – oggi cade il 74esimo anniversario – la divisione Tridentina affrontò l’ultima battaglia per rompere l’accerchiamento, nel villaggio di Nikolajewka.
Le piastrine di Vittore Taglioretti, nato a Velate nel 1920, facevano parte di un gruppo di otto piastrine recuperate da un contadino e che sono arrivate a Giacomo Matacotta, che raccoglie reperti storici dalla Russia: l’appello per trovare i familiari dei soldati è stato rilanciato tre anni fa anche dal blog di Pino Scaccia, noto giornalista Rai (che si è occupato a lungo degli italiani in Russia). Sette piastrini furono riconsegnati, ma non quello di Vittore, perché la ricerca ha richiesto un po’ di tempo: banalmente, all’inizio si è perso tempo perché nessuno aveva trovato il Comune di Velate, che esisteva al tempo della nascita di Vittore Taglioretti, ma poi è stato assorbito da Varese nel 1927 e non risulta più. Fino a che, passo a passo, si è arrivati alla sorpresa: «Vittore Taglioretti è mio zio, ma non è morto in Russia» ci ha confermato Mauro Faccini. Le piastrine rimasero in Russia, ma Vittore si salvò, rientrò in Italia, ebbe una vita lunga, per altri cinquant’anni ancora.
Vittore Taglioretti fu arruolato di leva nel marzo 1940, a vent’anni, lasciò la professione di giardiniere e vestì la divisa: come molti altri della provincia di Varese finì al 37° Reggimento Fanteria, Divisione Ravenna, fu assegnato alla Compagnia che sparava granate con i mortai da 81mm. A giugno fu mandato a invadere la Francia, nell’avanzata in val Roja. Poi nell’aprile del 1941, per un mese, in Jugoslavia. Infine, la spedizione più drammatica: con l’Armir, l’ottava armata italiana spedita in Russia. Il suo “foglio matricolare” racconta che Vittore partì per la Russia il 9 giugno 1942, esattamente nel giorno in cui l’Italia si apprestava a entrare nel terzo anno di guerra.
L’esercito italiano andrò in Russia come esercito invasore, ma era fatto da giovani soldati strappati alle loro famiglie: inviati da Mussolini in una assurda spedizione contro il comunismo staliniano, per dimostrare anche a Hitler la forza dell’Italia fascista. La ritirata (nella foto: colonna di alpini a Postojali) fu devastante: alla fine più di 75mila furono i morti – moltissimi in prigionia – e i dispersi, oltre 40mila i feriti e i congelati. Tra questi ultimi, anche Vittore: «Quando tornò, aveva perso le dita dei piedi», ricorda il nipote. Fu curato prima nell’ospedale da campo di Voroscilograd, poi in quello di Stalino, infine riportato in Italia nel febbraio del 1943, “con treno ospedale n.34”. La convalescenza fu lunga, prima in estate all’ospedale militare di Baggio a Milano, poi al Colle Campigli di Varese, nell’ospedale di guerra allestito dentro al Palace Hotel (che fu poi anche bombardato, il 30 aprile 1944).
«Mi ricordo che raccontava gli attacchi quando dovevano sparare per sopravvivere, anche se davanti c’erano altri ragazzi mandati in guerra come loro», ricorda il nipote. Segnato dalla ritirata di Russia, Vittore fu congedato e non fu più richiamato – per sua fortuna – nel corso degli anni successivi, di guerra civile: fu invece assunto in una fabbrica locale, le Officine Pasquini.
Nel dopoguerra, Vittore tornò alla sua vita di tutti i giorni, fatta di lavoro e di impegno nella piccola comunità locale di Velate, che era divenuto formalmente quartiere di Varese ma di fatto rimaneva ancora un piccolo un po’ un paese a sé stante, con le sue istituzioni. Taglioretti suonava anche il clarino (nella foto, conservato dalla famiglia) nella banda del paese, nata nel lontano 1905: negli anni Cinquanta ne fu anche presidente.
Una vita in pace, dopo che in guerra era sfuggito alla morte: sulle sponde del Don, intanto, riposavano le sue piastrine, che – recuperate dopo 70 anni – ci hanno permesso di scoprire questa storia e di fare memoria della ritirata di Russia, forse la peggiore tragedia vissuta dall’Italia unita.
Un ringraziamento a Giacomo Matacotta, per l’opera di raccolta dei piastrini e per i dettagli forniti a VareseNews; al gruppo Facebook “Taglioretti nel mondo”, che ci ha consentito di arrivare a contattare i parenti prossimi di Vittore Taglioretti; ai responsabili della Banda di Velate. Le vicende militari di Vittore sono state ricostruite nei dettagli grazie ad una ricerca all’Archivio di Stato di Varese, che conserva i fogli matricolari di tutti i soldati arruolati in provincia.
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