La globalizzazione fa bene all’economia del Paese
Whirlpool Emea, Assolombarda e American Chamber of Commerce in Italy hanno discusso di attrattività del sistema Italia e presentato una ricerca dell'Istituto Bruno Leoni

«L’Italia è al centro dei nostri piani di sviluppo. Qui coltiviamo e investiamo su talento, know how e creatività al servizio dell’innovazione e della qualità» così ha esordito Esther Berrozpe Galindo, presidente di Whirlpool Emea, nell’incontro sull’attrattività del sistema Italia, organizzato in collaborazione con Assolombarda e American Chamber of Commerce in Italy. «Sentiamo la responsabilità – ha proseguito la presidente della multinazionale americana – di farci promotori di crescita e nuove opportunità per far superare al Paese i gap ancora esistenti e renderlo più competitivo nel mercato globale. Un impegno che in occasione di #ItalyMatters ha ricevuto l’apprezzamento e il sostegno delle Istituzioni e di alcune delle aziende più attive nel Paese».
L’INDICE DI GLOBALIZZAZIONE
Il dibattito ha preso spunto dalla presentazione dell’Indice della globalizzazione sviluppato dall’Istituto Bruno Leoni, che ha analizzato il grado di apertura agli scambi dei Paesi del G20 e dell’UE, misurandone in modalità comparativa negli ultimi 20 anni le correlazioni con i principali indicatori di crescita del Paese. Tre i macro-indicatori rilevati: l’esposizione dei Paesi agli scambi globali; la capacità di attrarre o generare investimenti diretti esteri; il grado di connettività e la loro partecipazione ai mercati mondiali della conoscenza. «Misurare il grado di apertura alla globalizzazione è importante perché l’internazionalizzazione degli scambi è oggetto di una divaricazione tra percezione e realtà – ha commentato Serena Sileoni, vice direttore dell’Istituto Bruno Leoni – Infatti, sebbene l’opinione pubblica in molti paesi si sia orientata in senso ostile alla globalizzazione, l’evidenza suggerisce che la partecipazione ai mercati globali sia un fattore di crescita, occupazione ed equità».
Secondo l’indice realizzato per Whirlpool dall’Istituto Bruno Leoni, nel 2015 è l’Irlanda ad occupare la posizione di vertice della “classifica”, seguita da Malta e Danimarca, affermandosi così come campione della globalizzazione. L’Italia si colloca al 17° posto, preceduta dalle grandi economie europee: Regno Unito (6°), Germania (7°), Francia (9°), Spagna (13°).
L’indice è guidato da economie “piccole” che sono generalmente più propense a integrarsi con l’estero per superare i limiti di un mercato interno non in grado da solo di produrre molti dei beni e servizi richiesti dai consumatori. Questo è tanto più vero per quegli Stati che hanno assunto negli anni le caratteristiche di snodo finanziario come, appunto, Malta. Nel 1994, primo anno preso in considerazione dall’Indice, il grande Paese più globalizzato del mondo erano gli Stati Uniti, al settimo posto della classifica (sceso al 14° nel 2015). Per quanto riguarda le grandi nazioni europee – Francia, Germania e Regno Unito – avevano lo stesso indice, leggermente superiore all’Italia.
«Siamo fieri di essere ad oggi l’unica multinazionale con un quartier generale regionale in Italia, e siamo convinti che la nostra scelta, consolidata nel corso degli ultimi 28 anni, sarà presto seguita da altri grandi gruppi internazionali – ha sottolineato Berrozpe -. D’altronde qui in Italia abbiamo sempre trovato terreno fertile per implementare i nostri piani di sviluppo, da ultimo in occasione degli impegni assunti nel luglio 2015 insieme alle istituzioni e alle parti sociali, un piano di investimenti per oltre 500 milioni di euro che saranno realizzati entro il 2018».
Il CASO ITALIA
Secondo lo Studio Bruno Leoni, l’Italia si caratterizza come un Paese relativamente aperto alla globalizzazione, che tuttavia presenta ancora notevoli margini di miglioramento. Il punto di forza del nostro Paese viene indicato nella elevata permeabilità al commercio internazionale di beni: l’interscambio italiano infatti è cresciuto da circa il 41% del PIL nel 1994 al 57% nel 2015, addirittura superando il picco pre-crisi del 2006 (55%). Dove l’Italia appare invece indietro rispetto ai principali competitor è sul fronte degli investimenti diretti esteri: con rare eccezioni, il flusso di FDI (Investimenti Esteri Diretti) dal 1994 al 2015 si è attestato intorno all’1% del PIL. Anche in relazione alla connettività, il nostro Paese ottiene buoni risultati pur scontando alcuni ritardi legati principalmente al digital divide tra il Nord e il Sud.
Lo Studio evidenza alcuni oggettivi vantaggi competitivi dell’Italia rispetto ad altre Nazioni con economie paragonabili: la favorevole posizione geografica, le professionalità e la tradizione manifatturiera, e un tessuto imprenditoriale dinamico. Con la crisi economica la tendenza alla globalizzazione registrata dall’Italia negli anni ha segnato un rallentamento, nonostante la performance record dell’export italiano negli ultimi anni.
I TRE PRINCIPALI VANTAGGI
Lo studio individua alcune correlazioni importanti tra livello di globalizzazione e fattori che contribuiscono alla ricchezza, allo sviluppo e al benessere delle economie. Innanzitutto più un Paese è “aperto” più cresce negli anni il PIL pro capite. Con le dovute eccezioni in generale sono i Paesi più poveri, che cioè partivano molto distanziati dalle economie sviluppate, ad aver registrato le crescite più significative del potere d’acquisto dei propri cittadini.
Inoltre c’è anche un rapporto tra globalizzazione e disoccupazione, tanto quella generale quanto quella giovanile e femminile. Nonostante il disaccoppiamento dei due indicatori durante la crisi economica globale, si è registrata una ripresa più rapida dell’occupazione in corrispondenza della ripartenza degli scambi internazionali, con maggior vigore proprio nei Paesi che occupano le posizioni più alte nell’Indice.
Infine, i Paesi più esposti alla globalizzazione tendono ad avere meno diseguaglianze interne, un più elevato indice di gender parity nel tasso di scolarizzazione per la fascia di età 15-24 anni e minori livelli di inquinamento.
LE AZIENDE MANIFATTURIERE CAMPIONI DI GLOBALIZZAZIONE
Lo Studio evidenzia che i Paesi con una maggiore presenza manifatturiera tendono ad essere più aperti agli scambi globali. Questo dipende verosimilmente da due aspetti: il primo riguarda la natura stessa del settore manifatturiero, cioè il fenomeno di integrazione globale delle catene del valore. I processi e la specializzazione produttiva sono ormai tali da aver raggiunto un elevato livello di internazionalizzazione che obbliga l’industria manifatturiera a cercare assetti organizzativi globali. Il secondo aspetto riguarda la più facile circolabilità dei prodotti manifatturieri rispetto ai servizi. Per le caratteristiche produttive e per l’elevata intensità di capitale che contraddistinguono la moderna “fabbrica”, l’industria manifatturiera ha una vocazione naturale verso l’internazionalizzazione.
In questa prospettiva, è particolarmente interessante il ruolo che giocano le imprese multinazionali, considerando che le aziende di maggiori dimensioni e più internazionalizzate tendono a generare occupazione più stabile e meglio remunerata. Già oggi rappresentano il 33% del PIL nazionale e occupano circa 1 milione di persone, pari al 4,5% dell’occupazione totale (ICE, 2016). Nella sola Lombardia sono poco meno di 6.400 aziende a partecipazione estera che generano ricavi per oltre 257 miliardi di euro e danno lavoro a oltre 570 mila dipendenti (Camera di Commercio di Milano, 2017). Le multinazionali quindi creano un valore tangibile molto rilevante ma allo stesso tempo sono l’esempio più evidente – sia per la loro organizzazione interna, sia per le scelte che compiono rispetto ai propri fornitori – di integrazione globale delle catene del valore. Esse contribuiscono inoltre a portare nei Paesi in cui si stabiliscono una vera e propria cultura dell’apertura, sono un veicolo di diffusione della conoscenza e di trasferimento tecnologico, rappresentano un importante volano di innovazione».
All’evento sono intervenuti Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, Michele Scannavini, presidente di ITA (Italian Trade Agency), Simone Crolla, consigliere delegato American Chamber of Commerce in Italy, Cristina Tajani, assessore alle politiche del lavoro, attività produttive, commercio e risorse umane del Comune di Milano, Enrico Cereda, amministratore delegato di IBM Italia, Cristina Scocchia, presidente e amministratore delegato di L’Oréal e Carlo Purassanta, amministratore delegato Microsoft Italia.
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