Caso Lidia Macchi: Abate “processato” dal Csm
Il Procuratore Generale della Cassazione lo accusa di non aver vigilato sulla distruzione dei vetrini del caso Lidia Macchi. Ma il giudice reagisce: "c’è un accanimento nei miei confronti, non ho mai detto bugie"

Richiesta una sanzione disciplinare contro il pubblico ministero che non vigilò sulla conservazione dei vetrini che avrebbero potuto aiutare la polizia a risolvere il caso Lidia Macchi. Lo vuole la procura generale della Cassazione nei confronti nei confronti di Agostino Abate, il magistrato di Varese ora trasferito al tribunale di Como, che per 26 anni è stato titolare dell’inchiesta sull’omicidio della studentessa del 1987.
L’ipotesi è stata formulata durante l’udienza davanti al csm e prevede la perdita dell’anzianità di un anno e mezzo e la conferma definitiva del trasferimento a Como, dove il magistrato opera attualmente come giudice civile.
Le contestazioni quelle più pesanti riguardano le omissioni e i ritardi nell’indagine sull’omicidio Macchi. Secondo il Procuratore Generale della Cassazione, Abate avrebbe omesso «qualsivoglia iscrizione nel registro degli indagati, nonostante alcuni soggetti siano stati destinatari di comunicazione giudiziaria e sottoposti a prelievo del dna».
Vi fu anche una mancata vigilanza dei reperti che concorse alla «indebita distruzione di parte di essi», ritenuti di «fondamentale importanza per l’identificazione dei profili genetici dell’autore del reato». Il Pg Gabriele Mazzotta in aula ha accusato il magistrato di “inerzia investigativa” e di “pigrizia nella collaborazione con gli organi investigativi”.
Agostino Abate tuttavia si è difeso di persona: «Su questo procedimento – afferma – pende il ricorso in Cassazione, ma finchè ci sarà questa situazione non chiederò di tornare alla procura di Varese. Io sono incolpevole, c’è un accanimento nei miei confronti, non ho mai detto bugie».
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