La Quiete ultimo atto: messi i sigilli
È calato definitivamente il sipario sulla storica casa di cura privata della città. Per i 60 lavoratori si apre la battaglia sindacale per ottenere gli stipendi arretrati
Hanno iniziato con il trasloco dei paramenti sacri, candelabri, calici e acquasantiera dalla cappelletta. Poi hanno raccolto badge e carte aziendali. Quindi le chiavi di tutte le porte.
Poco prima della 14 è iniziato il giro di chiusura delle tapparelle al piano terreno. Quelle dei piani superiori erano già state serrate nei giorni scori. È finita così, martedì 30 maggio, la storia lunga quasi un secolo della casa di cura privata di Varese La Quiete, l’unica alternativa all’ospedale di Circolo.
Lentamente i dipendenti hanno percorso a piedi il viale fino al cancello dove hanno atteso l’amministratore Celletti che ha lasciato per l’ultima volta la proprietà passata di mano nel 2009 dai fratelli Polita alla società Sant’Alessandro.
La fine triste e mesta era ben chiara ai lavoratori che, dalla doccia gelata dello scorso 28 aprile quando è iniziato di fatto l’esecuzione dello sfratto, avevano vissuto tra notizie e smentite realizzando che il loro destino era ormai segnato. La frustrazione ha lasciato il posto alla rassegnazione e alla rabbia per non aver mai ricevuto una spiegazione per questa situazione incredibile, a fronte di un’attività clinica pienamente funzionante.
Il giudice fallimentare ha fissato una nuova asta per il 19 luglio ma con un ribasso esiguo scendendo da 8 milioni a 7 milioni e 830.000 euro. « A quelle condizioni nemmeno la Fondazione Borghi sarà interessata….» commentano i lavoratori.
Per i dipendenti, quindi, si apre una fase di battaglia sindacale: la proprietà non ha accettato il licenziamento collettivo anche perché solo due delle tre aziende operanti all’interno della Quiete sono formalmente legate alla Sant’Alessandro mentre “La Quiete servizi” fa capo a una gestione diversa. « Per questo vi licenzierete tutti insieme per giusta causa – suggeriscono Cinzia Bianchi e Ardizzoia della FP Giancarlo Cgil – ci sono stipendi arretrati e competenze che non sono stati pagati».
Fino a domani la situazione , però, potrebbe riservare ancora qualche sorpresa: « È possibile – commentano i lavoratori – che i proprietari stiano tentando di salvare l’accreditamento con la Regione spostando semplicemente gli ambulatori. In questo caso basterebbe dimostrare di avere un contratto di affitto e ottenere parere positivo per proseguire altrove il servizio chiuso alla Quiete».
All’ATS Insubria non si sbilanciano: « Questa mattina è stato eseguito il sopralluogo e stiamo stilando il verbale»
Una prospettiva che saprebbe di beffa finale per i 60 dipendenti che, con le lacrime agli occhi, si sono mestamente salutati abbandonando il loro luogo di lavoro.
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