Per una città bella si deve partire da “dovere dell’identità e coraggio di incontrare chi è differente da noi”
Nell'omelia per il santo patrono San Cristoforo, monsignor Valagussa riprende le parole del cardinal Martini e di Papa Francesco: "Il dialogo espressione autentica dell'uomo: chi è diverso non va visto come nemico"
Il «dovere dell’identità» e il «coraggio di incontrare chi è differente», nella «sincerità delle intenzioni» sono la via per costruire una città che cerca la vera bellezza. È l’appello di monsignor Ivano Valagussa, nell’omelia per il santo patrono di San Cristoforo. Una festività celebrata quest’anno in una basilica Santa Maria Assunta in parte celata dai ponteggi del lungo restauro in corso che sta man mano – con impegno collettivo – restituendo la bellezza originaria all’edificio che rappresenta la comunità cattolica ma è anche elemento dell’identità della città.
Cogliendo come spunto proprio il lavoro di restauro in corso, Monsignor Valagussa è partito – citando un passo di Benedetto XVI – dall’analisi del contesto di oggi «segnato, oltre che da fenomeni negativi a livello sociale ed economico, anche da un affievolirsi della speranza, da una certa sfiducia nelle relazioni umane, per cui crescono i segni di rassegnazione, di aggressività, di disperazione» e ha proseguito riprendendo le parole di un celebre intervento del cardinal Martini, la lettera pastorale del 1999-2000 sulla “bellezza che salverà il mondo”.
«Che cosa possiamo fare noi?» si è chiesto e ha chiesto alla città il previsto. «Anzitutto occorre domandarci quale bellezza desideriamo per noi stessi, per le persone care, per la nostra città, per la chiesa e per il mondo? A quale bellezza ci stiamo dedicando come cittadini e come cristiani qui a Gallarate. A quale bellezza non possiamo rinunciare come adulti, giovani, ragazzi di questa nostra città? Ci interroghiamo anche come adulti e credenti: la città, la chiesa che stiamo costruendo è bella ed è capace di irradiare bellezza?». La risposta per Valagussa era nella ricerca quotidiana «nel confronto con gli altri».
«L’incontro e il dialogo sono sempre impegnativi» ha proseguito il prevosto citando poi un brano di Papa Francesco che indica tre parole-guida, «non facili da coniugare tra loro», vale a dire “il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni“. Le parole del Pontefice: “Il dovere dell’identità, perché non si può imbastire un dialogo vero sull’ambiguità o sul sacrificare il bene per compiacere l’altro; il coraggio dell’alterità, perché chi è differente da me, culturalmente o religiosamente, non va visto e trattato come un nemico, ma accolto come un compagno di strada, nella genuina convinzione che il bene di ciascuno risiede nel bene di tutti; la sincerità delle intenzioni, perché il dialogo, in quanto espressione autentica dell’umano, non è una strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione”. Un richiamo a cercare una «cultura della vita, del rispetto del creato e degli altri, della ricerca della bellezza, vero antidoto al pragmatismo utilitaristico e al modello consumistico».
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