“Perché nessuno sia perso”, viaggio tra gli specialisti delle ricerche persona
Si chiama UST, Unità di soccorso tecnico e può venir chiamata ogni volta che qualcuno si perde. Chi sono i cercatori di dispersi della provincia di Varese
Davide si affaccia alla finestra con una specie di binocolo e dice: “Guarda”.
Dentro, nei due quadranti, ci sono le sagome chiare di tre ciclisti che si muovono sullo sfondo grigioverde: sono a 3-400 metri e si distingue la temperatura corporea, si intravvedono ancora per qualche metro, nel bosco, e poi cambiano strada. Si vedono gli uccellini sugli alberi, si vede il mucchio di paglia in decomposizione, che emette calore e quindi viene captato dalla termocamera. «È con questa che troviamo le persone. Quando sono vive».
Siamo con l’UST, Unità di Soccorso Tecnico, gli specialisti varesini della ricerca persone: giovani che coniugano l’altissima preparazione fisica con tecnologia e conoscenza del territorio. Un manipolo – in tutto sono una quindicina – composto da diversi mondi: c’è lo sportivo di trail, la corsa in montagna, che presta la sua preparazione per coprire grandi distanze magari portandosi in spalla anche chili e chili di materiale. C’è chi proviene dall’alpinismo, dal soccorso su elicotteri, oppure l’esperto in discipline che possono favorire questa attività di volontariato: può essere la tecnologia, il soccorso sanitario, o altro ancora.
Il loro obiettivo è cercare, trovare e soccorrere chi si è perso: al lago o in montagna, in pianura o in collina.
Al primo piano della palazzina liberty del Villaggio Cagnola, di proprietà del Parco campo dei Fiori, il responsabile della formazione Davide Piovesan, 37 anni di Cavaria (nella foto qui sopra) ci mostra lo spazio divenuto la nuova sede del gruppo, presieduto da Massimo Samorani, da circa un mese. «Prima eravamo a Busto Arsizio, ospiti della protezione civile. Ma cercavamo una sistemazione che fosse più baricentrica e funzionale».
Qui per “funzionale” si intende la vicinanza ai luoghi di intervento, ma soprattutto alla possibilità di allenarsi. Proprio dove sono sparite poco prima le sagome “calorose” dei ciclisti incomincia la montagna e il folto del bosco, dove questi volontari si sentono a casa.
Formazione e allenamento sono infatti la costante di questo gruppo organizzato sotto forma giuridica di una Onlus iscritta al registro regionale del volontariato della Regione Lombardia e che siede al tavolo provinciale per le ricerche persona.
«La Provincia di Varese ha un ottimo piano per le ricerche, forse il migliore a livello nazionale. Un protocollo a cui noi abbiamo aderito. Non abbiamo pretese di coordinamento in questo settore, che, lo ricediamo, spetta ai vigili del fuoco. Ma quando siamo sul campo vogliamo rendere un buon servizio».
La chiamata per il soccorso può arrivare ad ogni ora, e in questo caso è necessario fare i conti con le disponibilità di ciascuno dei componenti: nell’ultimo soccorso operativo svolto, la ricerca della donna inglese coi suoi tre figli data per dispersa a Monvalle, martedì scorso, UST era presente con alcune unità.
Ogni domenica sono in campo alcune squadre – composte di solito da 4 persone – pronte per l’uscita. Poi c’è un momento infrasettimanale in cui ci si trova nella sede della Rasa (il martedì) per ripassare le tecniche e tutti gli apparati in dotazione.
UST viene allertata dal 115, la centrale operativa dei vigili del fuoco. Alla chiamata la squadra se disponibile parte, e si reca sul posto per operare nelle ricerche, con ogni condizione meteo e in ogni momento della giornata.
Il gruppo si muove con un piccolo veicolo. «Ma stiamo cercando qualcuno che possa regalarci una jeep, sarebbe l’ideale per muoverci in maniera più agevole: non veniamo pagati, e la vita della nostra realtà dipende dalle donazioni. A questo proposito mi sento in dovere di ringraziare Eolo, l’azienda che ci ha donato un dispositivo che permette di tracciare in remoto la squadra sul terreno. È lo stesso dispositivo in dotazione ai corridori di trail, per sapere in tempo reale dove si trovano».
Ma come si diventa operatori di Soccorso Tecnico? «È necessario frequentare un corso. L’altra sera, martedì, abbiamo avuto un’insolita e gradita presenza di aspiranti, provenienti da diversi mondi. Il corso è strutturato in moduli ed ha la durata di circa tre mesi.
Si inizia con la valutazione soggettiva della persona che si ha di fronte, il suo percorso, la sua preparazione fisica. Si esce in montagna e si controlla il comportamento di ciascuno sia nei movimenti, sia nella capacità di muovere carichi. Poi si parte col corso che comprende la normativa di ricerca persone, la psicologia degli scomparsi, outdoor e materiali (cosa portare e come caricare lo zaino); c’è il modulo di cartografia terrestre e digitate anche notturno (che è il nostro alfabeto…), le tecniche di battuta notturne e diurne, tecniche base di dispositivi alpiniatici per movimentazione di sicurezza. Poi sentieri in montagna e ferrate.
Infine un modulo di valutazione singolare, dove il soggetto lavora da solo. E finalmente l’esame finale».
Poi si diventa operatori a tutti gli effetti? «Si anche se c’è da tenere ben presente che si lavora sempre in squadra e per la formazione completa di un nostro soccorritore occorrono non meno di due anni».
I volontari di UST hanno anche alcuni cani che impiegano per le ricerche e in molti casi viene effettuata attività didattica sul tema della cartografia e delle tecniche di ricerca, come avvenuto di recente al comando dei carabinieri di Varese e presto anche a quello di Como.
Il volontario tipo ha una forte preparazione fisica e tecnica, ha tra i 20 e i 50 anni ed è molto motivato.
Ma cosa spinge questi uomini e donne a volersi impegnare in questa attività? Forse sta scritto nel motto del gruppo: “Ita ut nemo pereat”, “Perché nessuno sia perso”.
LA PAGINA FACEBOOK DI UST
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