Silvia Milani, la “vita da mediano” della supermamma
Sette figli, ma la passione per il calcio rimane invariata per la capitana de Le Gazze
Il calcio è una passione. C’è chi senza pallone non sa stare e nonostante tutto trova sempre il tempo per giocare. È il caso di Silvia Milani, capitana della squadra del Csi Varese, categoria Eccellenza Femminile, de Le Gazze. Segni particolari: mamma di sette figli. Ecco chi è la protagonista di questa puntata della rubrica “Figli di un gol minore”.
Silvia, partiamo dagli inizi. Come si è avvicinata al calcio?
«Da piccola ho sempre giocato con i maschi. Abitavo alla Schiranna ed ero l’unica femmina, quindi o giocavo con loro o stavo a casa. A 13 ho scoperto che c’era la squadra femminile a Varese e da lì sono partita con il calcio a 11. Ho fatto la Serie B a Trecate un paio di anni, nel frattempo ho conosciuto mio marito Graziano e sono rimasta incinta nel 1998 della prima figlia. Ho continuato a giocare a 11 finché non sono rimasta in attesa della seconda».
Sette figli. Ci presenta la sua famiglia?
«Michela 19 anni, Alice 18, Lara 16, Nicolò 14, Simone 11, Riccardo 9, Giacomo quasi 5. Ho sempre pensato di averne tre. Dopo le tre femmine abbiamo cercato il maschio, però era da solo e ne sono arrivati altri tre. Non ci si annoia mai in casa, anche perché abbiamo anche due gatti e un cane. La grande è un’artista, fa Belle Arti, ma ha giocato anche con me a calcio per due anni. La seconda gioca a pallavolo all’Orasport, ed è la “pecora nera” della famiglia. Lara gioca alle Azalee a Gallarate. I maschi tutti a calcio: Nicolò nel Bosto, Simone e Riccardo all’Oratorio di Schianno. Il più piccolo non ha ancora iniziato. Io sono interista, mio marito juventino. I maschi sono bianconeri, le femmine nerazzurre».
In campo che tipo di calciatrice è?
«A 11 ho sempre giocato da mediano e anche adesso gioco in mezzo al campo. Sono il capitano della squadra, non manco mai ad allenamento. Mi piacciono i giocatori come De Rossi, che non sono troppo appariscenti ma che fanno il lavoro sporto. La vita da mediano».
Dove gioca ora?
«Nel 2002 abbiamo fondato la squadra Le Gazze. Ci alleniamo tra Gazzada e Schianno e le partite casalinghe le giochiamo a Morazzone. Sono capitana della squadra, non solo per una questione di anzianità, ma anche per il carattere che metto in campo».
Come è organizzata la sua giornata?
«Sveglia alle 7, le più grandi si arrangiano. Accompagno i più piccoli, poi spesa, pulizie e lavori di casa. Dalle 13 in poi si recuperano i ragazzi, si prepara da mangiare e inizia il pomeriggio tra allenamenti, catechismo e attività varie. Anche mio marito è molto impegnato: oltre a lavorare, allena noi, Le Gazze, e anche alle Azalee».
Cosa la spinge a giocare ancora a calcio?
«A volte alla sera sono stanca, ma ci sono cose che ti fanno superare la fatica: il rapporto con le compagne di squadra e lo spirito di competizione su tutto. Mi piace sempre giocare e sfidare anche le più giovani. Per ora il fisico regge. Piuttosto che andare in palestra, preferisco tirare calci al pallone per sfogarmi. Finché mi diverto vado avanti».
In Italia il calcio femminile non è molto considerato e a livello professionistico non è riconosciuto. Cosa ne pensa?
«Fino a qualche anno fa guardare una partita di calcio femminile era abbastanza noioso, con ritmi lenti. Ultimamente invece le gare sono molto più divertenti. Per risolvere il problema qualcuno dovrebbe iniziare a muoversi nelle varie leghe. Dovrebbe esser premiata la passione delle ragazze, chi raggiunge alti livelli si fa il mazzo tanto quanto i maschi. Qui a Varese abbiamo l’esempio di Valentina Bergamaschi, mia amica, che per arrivare dove è ora (Calcio Brescia Serie A italiana, ndr) ha lottato tanto. All’estero le categorie femminili hanno campionati professionistici, da noi rimane tutto a livello dilettante, anche il massimo campionato. Non è giusto, dovremmo unificarci al resto d’Europa».
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