Don Sotgiu: “La lettera è di un ciellino, ma non Binda”

La testimonianza dell'amico di infanzia dell'imputato, che secondo i giudici è stato reticente

Lidia Macchi Story

E’ ancora “sub iudice” la trasmissione atti con cui il Tribunale di Varese, il 15 febbraio 2016 , ha chiesto alla procura di valutare se Don Giuseppe Sotgiu avesse commesso un reato di reticenza durante la sua testimonianza al processo Lidia Macchi.

Durante l’incidente probatorio uno dei migliori amici di gioventù di Stefano Binda, Don Giuseppe Sotgiu, ha affermato che la lettera anonima inviata ai genitori di Lidia nel 1987, a suo parere, non è stata scritta dall’imputato. Il sacerdote, quel giorno, ha pronunciato decine di “non ricordo” per un fatto che oggettivamente è avvenuto 29 anni fa.

Ma cosa ha detto Don Sotgiu?

In sostanza, ha difeso indirettamente la posizione di Stefano Binda senza fornire nessuna informazione rilevante. E offrendo unti di vista differenti da quelli dell’accusa.

Don Sotgiu vive dal 1994 a Torino, e non frequenta più quasi nessuno degli ex amici di CL di Varese. Però è nato e cresciuto a Brebbia, amico di infanzia di Stefano Binda e Piergiorgio Bertoldi, un altro compaesano che oggi è nunzio apostolico della chiesa cattolica in Burkina Faso.

lidia macchi

(Lidia Macchi)

In quei giorni, successivi al 7 gennaio 1987, quando venne trovato il corpo della povera Lidia Macchi, Sotgiu venne sospettato dalla squadra mobile, ma si sottopose spontaneamente all’esame del dna e risultò estraneo. Binda e Bertoldi furono ascoltati per verificare l’alibi di Sotgiu in quei giorni. Per questo si è discusso molto, in questi due anni, di quella serata del 5 gennaio 1987, quando Sotgiu disse di essere stato al cinema con gli amici ma successivamente cambiò versione e i familiari di Bertoldi precisarono che quella sera i ragazzi erano a cena a casa loro.

Ma Binda dov’era, era in vacanza con Cl in montagna? “Non ricordo” ha risposto Sotgiu. Che però una cosa precisa l’ha detta. Secondo lui la lettera anonima non l’ha scritta Binda, perché non è redatta con uno stile che utilizzava all’epoca il ragazzo. “Tale poesia è una poesia
lineare e non rientra nello stile di Stefano – aveva detto in precedenza Sotgiu confermandolo in aula – Questi era più conciso, scriveva poesie ermetiche mentre tale poesia è prolissa”.

Sotgiu ha anche affermato che quella lettera non è a suo parere una confessione del delitto. “Io dissi fin dall’inizio che questo è lo scritto di una persona di fede che cerca di consolare…con la consolazione della fede… la famiglia di Lidia”. Peraltro Sotgiu ha detto di conoscere Lidia e di essere stato amico di Paola Bonari (la ragazza che Lidia andò a trovare in ospedale) ma non di essere particolarmente legato a Lidia. Il prete ha aggiunto di non essere mai andato a casa sua o comunque di non ricordarlo.

Quanto a Patrizia Bianchi il prete  ha ricordato che la Bianchi andò a trovarlo in Piemonte alcuni anni fa, ma egli le disse di lasciar perdere l’idea di incontrare Binda. Perchè? Lo fece perché la Bianchi è una persona fragile, ha detto, che da giovane aveva “la testa sulle nuvole” ed era “ingenua”, molto affascinata da Binda, il quale però aveva fatto una brutta fine con la tossicodipendenza. Insomma, per proteggerla.

Don Sotgiu si era sentito tradito negli anni novanta quando apprese che Binda aveva una doppia vita da eroinomane che non aveva rivelato agli altri amici.

Interessante infine è la spiegazione della lettera che Don Giuseppe Sotgiu ha dato ai giudici dell’incidente probatorio. “E’ nell’ambito del pensiero di comunione e liberazione, però per come io l’ho vissuto o come vissuto a me sembra che i concetti espressi li siano legati a una teologia consolatoria…se lei legge le ultime frasi della poesia dove si parla della brezza, sta indicare questa speranza così lontana, ma una speranza di fede, legata alla fede”.

Dunque lo ha interpretato come uno scritto ispirato da chi leggeva e frequentava don Giussani, ma redatto da una persona estranea i fatti che voleva solo consolare la famiglia. Già, ma perché consolare in maniera anonima? La domanda rimane e il gip  (Anna Giorgetti) e il pubblico ministero (Carman Manfredda) di quella udienza furono durissime con Don Sotgiu.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 21 Novembre 2017
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