“Mio marito morì con Falcone, ora siate voi la scorta della legalità”
Tina Montinaro, moglie del capo scorta del giudice ucciso a Capaci, racconta quei giorni e l’importanza di vincere la mafia in ogni momento della vita
«Era bello, bellissimo mio marito. Uscì di casa verso mezzogiorno e non lo rividi mai più. Di lui restarono intatte le mani, e alla camera ardente riconobbi il suo feretro da quelle unghie mangiate e le dita rimaste incrociate anche dopo la morte, perché Antonio, quando scortava in autostrada il giudice Falcone, mi diceva di tenere sempre le dita incrociate».
Sono passati 25 anni da quel 23 maggio 1992 ma Tina Montinaro ha un ricordo lucidissimo di ciò che avvenne quel giorno, quando suo marito Antonio Montinaro, capo scorta del giudice Falcone, saltò in aria assieme ai colleghi Vito Schifani e Rocco Dicillo e alla moglie del giudice, Francesca Morvillo.
Tina è una donna forte che sta portando in giro la macchina su cui il marito trovò la morte per mostrare a tanti ragazzi che come oggi, all’iniziativa sulla legalità al Galileo Galilei di Laveno Mombello, hanno il diritto di sapere e il dovere di vivere una vita nella quale stare alla larga dallo sporco della mafia e della criminalità organizzata, che spesso si palesa anche nei piccoli gesti quotidiani.
La richiesta di Tina è che siano ora i giovani a fare da scorta alla legalità come il marito fece la scorta al giudice.
Ecco allora che la “Quarto Savona Quindici” – questa la sigla dell’auto saltata in aria che si muoveva assieme a Falcone – diventa il simbolo di uomini che ancora oggi vivono nella memoria di tutti noi.
«Non chiamiamola “scorta”. Chiamiamo queste persone con nome e cognome, parliamo della loro vita che non c’è più e di come sia cambiata la vita di tante mogli e figli a cui la bomba è scoppiata in casa – spiega Tina Mortinaro nel suo intervento che ha lasciato muti i ragazzi delle quattro scuole presenti. Le famiglie di questi uomini sono importanti anche per dimostrare un’altra cosa: non è vero che la mafia non colpisce le donne e i bambini, perché l’ha fatto con me, coi miei figli e con tutte le donne e i bambini che non hanno più avuto un marito o un papà con cui giocare, come faceva Antonio».
L’impegno alla legalità allora è il testimone che anche Leonardo Salvemini – avvocato e giurista, responsabile dell’Istituto Galilei di Laveno – ha ricordato, portando saluti del pubblico ministero varesino Annalisa Palomba che per motivi d’ufficio non è potuta essere presente ma che in un messaggio letto alla fittissima platea ha ricordato anche le altre vittime di Cosa Nostra e di come la legalità parta anche dai piccoli gesti di cui tutti noi dobbiamo essere capaci.
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