Cari genitori, occhio a cosa mettete sotto l’albero
Domande, riflessioni e addirittura appunti per la mattinata al teatro Santuccio dove il luminare Alberto Pellai ha dispensato consigli su come affrontare un presente ipertecnologico e spesso spersonalizzato
«Dottore, lei non s’immagina nemmeno cosa guarda sul telefonino il mio patatone».
Una frase pronunciata da una mamma disperata che racchiude il significato e le paure del nostro tempo che viaggia a motori invertiti: il genitore succube della tecnologia, spesso ignorante di cosa si possa fare non col “telefonino”, ma con uno smartphone con una potenza di calcolo evoluta, quasi da intelligenza artificiale.
Oggetto che sempre prima rimane nelle mani dei tanti “patatoni”, cioè di come i genitori vedono i loro figli in età adolescenziale o pre adolescenziale che scorrazzano su youporn o svuotano carte di credito col gioco on line.
Una volta lo smartphone arrivava come regalo alla cresima, oggi alla comunione.
A raccontare le sue esperienze di medico e psicoterapeurta dell’età evolutiva è stato questa mattina Alberto Pellai, luminare della materia.
In studio, con una folta clientela di genitori, ma anche a casa, grazie alla sua condizione di genitore (è padre di quattro figli), Pellai si confronta con un mondo che cambia, portandosi dietro, oggi, relazioni difficili tra genitori e figli e domani persone con problemi di socializzazione, prive di strumenti per affrontare la vita reale.
Ecco allora che all’incontro proposto questa mattina dal centro Gulliver, a cui ha partecipato anche il fondatore Michele Barban, l’assessore del Comune di Varese Rossella di Maggio e al giornalista di Avvenire Maria Teresa Antognazza, c’erano moltissimi genitori, oltre un centinaio, che al teatro Santuccio hanno ascoltato attenti la lezione del professore, alcuni prendendo appunti.
Proprio come a scuola.

Già, perché il fare i genitori oggi è cambiato se in passato l’adulto aveva un ruolo di supervisione nell’educazione del figlio poiché sapeva o era in grado di prevedere cosa sarebbe successo, oggi non è più così.
«Viviamo in un mondo complesso in quantità e qualità, superiore alla nostra capacità di pensiero», ha spiegato Pellai.
«Agiamo in un presente in cui l’azione non è sostenuta dal pensiero. I click col cellulare o col pc sono centrati sul sentire, e non sul pensare e il rischio è quello di utilizzare la parte del cervello emotiva e non cognitiva. Un problema enorme. I pensieri generano significati, mentre i click sono più emozione che pensiero»
Un atteggiamento pericoloso: più ci abituiamo a fare una cosa nella zona bassa de cervello, più ce la portiamo dentro.
E se questo accade nell’età evolutiva diventa un pasticcio perché sono le esperienze ad attivare le reti neuronali che permettono di crescere in un mondo insieme ad altre persone, diventare adulti e sapersi confrontare coi problemi della vita.
Altrimenti si rischia di creare casi come quelli avvenute negli orfanotrofi di Ceausescu, dove i bimbi venivano accuditi e nutriti, ma senza interazione, privi di contatti sociali e affettivi. Così si rischia di diventare adulti senza strumenti per muoversi nella collettività.
I tre rischi del nostro tempo hanno dunque un nome: mercato, relazioni, e “fase specificità”.
Sono infatti troppi gli adulti che non vedono in un bimbo un soggetto in formazione ma un potenziale consumatore, e il rischio è che i giovani siano troppo esposti a messaggi spesso subdoli per interferire sulla loro formazione.
Le relazioni, poi, sono fondamentali perché pongono le basi del funzionamento mentale, ma sono importanti in un determinato momento della vita di un individuo: vanno cioè fatte nella fase evolutiva (“fase specificità”) per costruire i significati della vita in modo cooperativo ed etico. Se tolgo le relazioni reali in fase adolescenziale e pre adolescenziale le reti neuronali non si attivano più. È lo stesso meccanismo che attiva i fenomeni di bullismo e cyberbullismo: non sento quello che sente l’altro, quindi faccio dell’altro ciò che voglio.
Il rimedio? Forse potrebbe già arrivare sotto l’albero di Natale, come conferma lo stesso Pellai. È difficile avere in tasca la ricetta, «ma un caro e vecchio libro, un gioco in scatola, o un biglietto per il teatro sono più efficaci dello smartphone, se davvero dobbiamo pensare alla crescita dei nostri ragazzi»
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Grazie al dottor Pellai per il linguaggio diretto, sintetico e mirato, che con simpatia e fluidità, passando dalle esperienze personali del suo essere padre, ci ha donato consigli sempre preziosi.
Ho ascoltato con piacere e ho preso appunto, soddisfatta del meraviglioso lavoro che l’Associazione Gulliver fa sempre con impegno.
Ascoltare e non solo sentire, condividere, accogliere e cogliere i segnali che i minori di “inviano”(fisicamente, col linguaggio del corpo, senza smartphone, sia chiaro!).