Cuoci-riso, snorkeling e valvole: hobby e passioni ruotano tutti intorno all’artigiano dello stampo
Si fa presto a dire immersioni, o a cuocere una omelette. Ma il segreto della perfezione, prima che nel prodotto, è nello stampo. Come si fa? Fabrizio Alzati, della Stampi Engineering di Gornate Olona, il suo mestiere lo considera un po’ una missione: «Perché, a dirla tutta, il primo stampista è stato Dio»
Cosa hanno in comune una maschera da snorkeling Tribord (permette di respirare sott’acqua sia dalla bocca che dal naso), un cuoci-riso per microonde, un cuoci-omelette e una valvola per termosifoni in plastica? Per produrli ci vuole uno stampo. Ma lo stampo come si fa?
Fabrizio Alzati, alla testa della Stampi Engineering di Gornate Olona, “modella” plastica da quando aveva quattordici anni: «L’azienda l’aveva fondata papà Egidio nel 1974 – dice – e si facevano estrusioni per tapparelle. Se vogliamo un’altra figlia di quella che io chiamo “mamma Mazzucchelli”, l’impresa che ha popolato la nostra provincia di piccoli imprenditori abili nello stampaggio di materie plastiche». Per poi aggiungere: «Il primo stampista è stato Dio: ha modellato un uomo e poi tutti sono venuti da lì. A noi piace pensare che alla Stampi Engineering si dà forma alle idee».
Alla plastica – Alzati è specializzato in stampi con svitamento, per prodotti con filetto, soprattutto nel settore dei termosanitari – qui alla Stampi Engineering si affianca il silicone. Non da poco: dall’impresa di Gornate escono i cinturini di alcuni fra gli orologi svizzeri più famosi al mondo. Macchine all’avanguardia, investimenti importanti (anche Industria 4.0), cura maniacale per i millesimi e un progettista che fa la differenza. Perché tutto inizia da qui: «Il cliente ci invia il file in 3D, ma per preparare un preventivo ci vogliono preparazione, abilità, senso pratico ed esperienza. Anche in fatto di errori».
Il bello è che un capitolato costruttivo (il documento con il quale il cliente comunica alla Stampi Engineering le sue esigenze e le caratteristiche che deve avere il prodotto) è un inizio, ma non risponde alla domanda fondamentale: «Come si fa un preventivo se non sai come realizzare lo stampo? Ce lo dobbiamo immaginare». Sapendo che la risposta al cliente passa dalla scelta dei materiali, dalla macchina più adatta allo scopo, dai tempi di realizzazione (che incidono sul costo dello stampo anche per il 20%), dalle soluzioni migliori e dalla facilità di manutenzione. Perché uno stampo «funziona meglio se non dà problemi e permette di produrre di più». Lapalisse ne sarebbe contento.
Allora la fase più importante è proprio la progettazione. Che è prima massimale (ci si confronta con l’ufficio tecnico del cliente) e poi particolare. Cioè capace di definire i dettagli e superare le difficoltà che presenta la realizzazione del pezzo. Intorno al file inviato dal cliente, si costruisce in 3D una incastellatura che nasce da una miriade di calcoli: per simulare il riempimento con la materia plastica, le temperature, le pressioni, le trappole d’aria, gli scarichi e le cavità. Un lavoro tanto affascinante quanto delicato, perché dalle mani e dalla testa del progettista nasce lo stampo (composto da due semi-gusci: uno è la parte fissa che contiene il canale d’ingresso della materia e l’altro la parte mobile che, invece, contiene tutti i meccanismi utili all’estrazione) che andrà poi in produzione. A vederli quasi non sembra vero, ma per ottenere due pezzi da 30 grammi l’uno serve uno stampo di circa 1.500 chilogrammi e più di 600 componenti diversi. Che garantiscono la precisione del prodotto finale.
Tolleranze? «Ce ne sono – continua Alzati – ma nell’ordine di 2 centesimi. Nell’automotive si arriva ai 2 decimi». Poi, finalmente, ecco entrare in officina dove si assiste alla nascita di veri gioielli della meccanica attraverso macchinari collegati in rete e serviti da un server: «Carta, alla Stampi Engineering, se ne usa sempre meno. Il disegno del pezzo arriva direttamente sui touch screen e poi ogni singolo addetto alla macchina scarica la parte sulla quale dovrà operare: un procedimento che permette velocità e maggiore precisione», assicura il titolare.
Ad incidere sulla buona riuscita del lavoro è la scelta del materiale e il suo trattamento, perché ogni materia plastica ha un acciaio dedicato per durezza, resistenza, duttilità. I passaggi, in questo caso, sono quattro: fresatura, sgrossatura, finitura e trattamento termico. Di mezzo c’è anche una fase di riposo per l’acciaio che, una volta lavorato, subisce stress e deformazioni. Alcune parti meccaniche, inoltre, prevedono l’elettroerosione a tuffo (con i pezzi immersi in un olio derivante dal petrolio) e a filo (32 chilometri su una sola bobina).
Il futuro? «Istituti tecnici che insegnano la materia, qui sul territorio, non ce ne sono più: mio figlio frequenta un ITS (Istituto Tecnico Superiore) a Bergamo e gira il mondo per farsi qualche esperienza in più». Papà Fabrizio lo attende con trepidazione in azienda.
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