Una giornata con il “Circolo della Bontà” per prendersi cura dei nostri ospedali
L'iniziativa si è tenuta domenica 21 gennaio al Teatro di Varese e si è aperta con un convegno, per poi lasciare spazio a tante attività e lanciare un messaggio importante

Un messaggio al territorio: gli ospedali pubblici tornano ad avere bisogno del contributo dei privati (donazioni, lasciti) per mantenere inalterati i livelli di assistenza erogati. Fu così nei primi anni del ‘900, sarà così sempre di più inoltrandoci nel secondo decennio del terzo millennio. Ci sono risorse disponibili e soprattutto “ci si può fidare” del donatario? Risorse disponibili ce ne sono: si calcola che le 2020 in Italia patrimoni mobili e immobili per 105 miliardi resteranno senza eredi. Lo hanno chiamato il tesoro della solitudine. Utilizzarlo per migliorare, non nella qualità clinica, che compete allo Stato, ma nella umanizzazione delle cure dell’assistenza, che è interesse di tutti, sarebbe cosa buona e giusta. E’ la differenza tra curare e prendersi cura. Non a caso gli inglesi usano due verbi diversi per due concetti apparentemente simili. A intermediare i rapporti tra chi dona e chi riceve provvedono soggetti senza fine di lucro “affidabili, credibili, rappresentati da esponenti della società civile”. Per lo più imprenditori è professionisti.
E’ stato questo lo scenario della giornata organizzata dalla Fondazione “Il Circolo della Bontà” (domenica 21 gennaio) che sostiene gli ospedali di Varese, del Verbano, di Cuasso e Tradate. Al tavolo di un convegno un giurista Fabio Bombaglio, una psicoterapeuta Marta Zighetti, la presidente della Fondazione Humanitas Giuliana Rocca, Adele Patrini e Ambrogio Bandera di Caos e Avo. “Dall’incontro indirizzi di alto profilo che pensiamo di pubblicare perché costituiscano motivo di riflessione per l’intero mondo del volontariato”, dice Gianni Spartà, presidente della Fondazione varesina. Nel pomeriggio svago per decine di bambini, in serata un concerto degli Skassakasta per la raccolta fondi con la partecipazione di Giovanni Daverio, direttore generale della Sanità lombarda.
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