La scelta di Mauro: lasciare tutto e partire in “barca stop”

38 anni, ingegnere, ha lasciato un lavoro sicuro per imbarcarsi alle Canarie alla volta dei Caraibi, cercando un passaggio al porto

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Mollare tutto per seguire la propria passione per la barca a vela. Lo ha fatto Mauro, varesino, 38 anni, ingegnere, stanco del lavoro “d’ufficio” e appassionato di mare e navigazione: è partito facendo il “barcastopper”, cioè va in porto e cerca un passaggio, contribuendo col proprio lavoro a bordo.

«La scintilla è scattata qualche anno fa, leggendo un libro di Alberto Di Stefano, “Il giro del mondo in barcastop” – racconta da Capo Verde Mauro -: mi ha appassionato l’idea, e son anche riuscito ad incontrarlo a Milano. Lavoravo per una società di Brescia che vendeva impianti geotermici: le cose non andavano benissimo e stavano pensando ad una riorganizzazione interna, così ho preso la palla al balzo, mi sono licenziato e ho preso la buonuscita. Sono partito a novembre, direzione Canarie: il tempo di salutare gli amici, fare la valigia (all’ultimo momento…) e via all’avventura. Gli amici sono tornati indietro, io sono restato per cercare un passaggio. L’ho trovato a metà dicembre, su una barca di un tedesco, fidanzato con una ragazza ucraina, insieme ad un altro barcastopper danese: siamo partiti alla volta dei Caraibi, con fermata obbligata e prolungata a Capo Verde a causa di un guasto tecnico al pilota automatico».

Mauro per lavoro ha viaggiato parecchio, parla inglese, spagnolo e tedesco e sta studiando il francese a bordo della barca, nei ritagli di tempo: «Sono stato in Germania per un anno di studio all’Università, poi in Cina per qualche trasferta di lavoro e in Indonesia per 6 mesi – racconta il 38enne -. Ho sempre amato viaggiare, ho sempre avuto l’anima dello “zingaro”. Alla vela mi sono avvicinato una decina di anni fa grazie ad un corso di VaresCorsi: prima sul Maggiore a Luino con il Circolo Velico di Malnate, poi la patente nautica e le vacanze con gli amici da skipper. Ed ora questa avventura in giro per il mondo: non ho famiglia nè mutui sulle spalle, sono “libero”, ho pensato che se non lo avessi fatto adesso non lo avrei fatto più. I miei genitori? Mia mamma, professoressa per una vita, l’ha presa bene, si arrabbia solo quando le dico che quando torno voglio smettere di fare l’ingegnere e andare a fare il prof di matematica; mio papà era un po’ perplesso all’inizio, poi ha provato a capire e tutto sommato lo ha fatto. Il mio sogno è quello di toccare Polinesia Francese, Martinica, Figi; una volta lì, vedrò come sto. Se mi diverto ancora magari proverò a fare il giro del mondo: correndo ci vogliono almeno due anni e mezzo, tanto. Io mi do come obiettivo un anno e mezzo di viaggio, ma vedremo».

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A bordo Mauro lavora sodo, come tutti i membri dell’equipaggio: «Ognuno contribuisce con una quota giornaliera e si divide la spesa per il cibo. Abbiamo una parete con i post-it con i “to do” e i “done”: c’è sempre qualcosa da fare, aggiustare, migliorare. Il tempo in barca vola, anche se bisogna essere abituati agli spazi stretti. Ogni tanto ci si prende delle pause: studio il francese, leggo, suono l’armonica, scrivo su un diario con carta e penna, old style. E cucino: scendo dalla barca e vado in porto a cercare il pesce. A volte si va a visitare i luoghi vicini a dove abbiamo attraccato: la gente di qui, a Capo Verde, soprattutto delle isole più lontane dalle rotte turistiche, dimostra apertura e curiosità, mentre in porto troppi ci “abbordano” solo per chiedere soldi, un po’ triste, ma fa riflettere. Quando siamo in mare aperto abbiamo pochi modi per restare in contatto col mondo: abbiamo un satellitare, ma costa tanto. Un mio amico, Ivan, mi manda messaggi sul meteo quando gli chiedo informazioni. Ci si è rotto il pilota automatico e abbiamo dovuto navigare stando al timone giorno e notte per sei giorni, a turni: è stato faticoso, ma le nottate in mare tra le stelle e l’oceano sono davvero indimenticabili».

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Pubblicato il 09 Febbraio 2018
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  1. Avatar
    Scritto da Maria Giovanna

    Beata gioventù, vita scanzonata ma all’orizzonte il muro delle responsabilità attende tutti e più si gioisce prima più l’impatto è doloroso.

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