“Al pronto soccorso si è perso il rispetto per l’essere umano”
Dura critica sulla situazione del PS di Varese dove si rimane giorni in attesa di un posto letto. A nove anni dalla lettera denuncia "Guantanamo", i problemi sono gli stessi

A distanza di 9 anni, diamo voce a una nuova fortissima denuncia sulle difficili condizioni in cui si trova il pronto soccorso di Varese. Dopo aver pubblicato la lettera “Come a Guantanamo, senza cibo né intimità”, nel corso degli anni si sono tentate svariate ricette. Si è mosso l’assessore Mantovani, sono arrivati i saggi, si è ridisegnato il reparto togliendo i letti di degenza che aveva. Ma il lamento di quanti ci devono trascorrere del tempo, corto o lungo che sia, è rimasto lo stesso.
L’ospedale di Varese è in sofferenza, il monoblocco ha portato una contrazione pesante di posti letto ( avrebbe dovuto averne 757 ne ha circa 500), il territorio, svuotato in seguito alla Legge 31 che puntava tutto sugli ospedali, non ha risposte da dare. Il Circolo rimane l’unica risposta efficace, tra enormi problemi. Ci sono i casi di chi preferisce rivolgersi al PS anche senza averne necessità: quanti attendono sulle barelle, però, sono i casi seri, che vanno ricoverati. Ed è per loro che l’attesa diventa difficile.
L’ultima lettera, firmata, parla di nuovo di condizioni difficili, in cui si lotta anche per mantenere la dignità
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Quando vi dicono che il Pronto Soccorso dell’ospedale di Varese versa in condizioni estreme non credeteci, è molto peggio.
È normale che sul tuo braccialetto non ci sia stampato il codice, così non saprai mai quanto manca. È normale aspettare 7 ore prima di varcare la soglia del triage, tra una ragazza che ha provato a rimettersi dentro la spalla da sola e ha fatto un casino, un’anziana in carrozzina che cerca con fatica di mantenere la sua dignità e un bambino che piange da ore chiedendo quando toccherà a lui.
È normale, una volta entrati, aspettare altre due ore, di notte, per una radiografia, in mezzo a persone sofferenti in piedi, sedute, in barella, che cercano di respirare il poco ossigeno rimasto: chi deve fare pipì nella padella davanti a tutti, chi ha la polmonite e vomita davanti a tutti, chi si aggira con le urine dei propri cari in mano cercando di capire a chi consegnarle. Non manca poi il folle di turno, scalzo, in mutande, che si vuole staccare le flebo.
Si rimane così tutti insieme per giorni, accampati e con un solo bagno, in attesa dell’agognato letto, come se riuscire a farsi ricoverare in ospedale diventasse una conquista, un privilegio. Una cascata incessante di persone trasformate in corpi docili, rassegnate, accomunate dalla speranza che qualcuno ci capisca qualcosa, finalmente, e risolva i loro problemi.
Si legge sui giornali che la direzione dell’ospedale di Circolo sta minimizzando e la questione viene liquidata come un problema organizzativo: sarebbe inutile quindi sbottare, lamentarsi, appellarsi allo stress, parlare di medici che se ne vogliono andare. Bene, non ci rimane che sperare che molto presto qualche gruppetto di manager illuminati trovi il modo per risolvere questa complessa equazione in cui il numero di crani dei medici, quelli dei malati e il numero di letti sembrano incognite impazzite.
Non si dimentichino però che ogni decisione organizzativa in ambito sanitario sottende una visione dell’essere umano e quella attuale del Pronto Soccorso ci parla di una direzione che forse l’essere umano non si ricorda bene che cosa sia, non ha i rudimenti del rispetto, della dignità e che probabilmente non sa fino in fondo cosa significhi essere in una condizione di bisogno. Partiamo da qui, si può solo migliorare.
Buon lavoro.
Lettera firmata
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Settimana scorsa ho portato mamma al PS per quello che sembrava una ischemia celebrale. Sala di attesa deserta erano le 1.30 del mattino, codice giallo, sul video si legge “stato: gravemente sovraffollato”. Primi esami quasi immediati, 6 ore per la TAC e radiografia ,altre 6 ore per i risultati. Situazione bellica con lettini ovunque ed un gregge di persone con i camici di mille colori che si muovono senza meta come uno sciame impazzito. Organizzazione: ZERO. Perfino le porte sono più strette del necessario.