Aumenta il reddito medio, ma ancor più le disuguaglianze
I dati della Banca d'Italia presentano un quadro sconsolante. Il 5% della popolazione detiene oltre il 40% della ricchezza nazionale mentre il 30% dei più poveri dispongono solo dell'1% della stessa

Come ogni anno la Banca d’Italia pubblica un’indagine sulla ricchezza delle famiglie nel nostro paese.
La buona notizia è che, dopo anni di crisi, nel 2016 il reddito medio è cresciuto del 3,5% dopo essere pressoché ininterrottamente caduto dal 2006.
La notizia pessima è l’aumento della povertà e soprattutto delle disuguaglianze economiche. Dati da far accapponare la pelle.
RICCHEZZA E DISUGUAGLIANZE
“Alla fine del 2016 – come si può leggere dall’indagine della Banca d’Italia – le famiglie italiane disponevano in media di una ricchezza netta, costituita dalla somma delle attività reali e delle attività finanziarie al netto delle passività finanziarie, di circa 206.000 euro. La quota di ricchezza netta detenuta dal 30% più povero delle famiglie, in media pari a circa 6.500 euro, è l’1%; tre quarti di queste famiglie sono anche a rischio di povertà. Il 30% più ricco delle famiglie, di cui solo poco più di un decimo è a rischio di povertà, detiene invece circa il 75% del patrimonio netto complessivamente rilevato, con una ricchezza netta media pari a 510.000 euro. Oltre il 40% di questa quota è detenuta dal 5% più ricco, che ha un patrimonio netto in media pari a 1,3 milioni di euro”.
IL REDDITO MEDIO
Secondo le informazioni riportate dagli oltre 7.000 nuclei familiari intervistati, nel 2016 il reddito annuo familiare, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali, è stato in media pari a circa 30.700 euro. Al netto della variazione dei prezzi è un valore sostanzialmente analogo a quello rilevato nelle indagini sul 2012 e sul 2014 ma ancora inferiore di circa il 15 per cento a quello registrato nel 2006, prima dell’avvio della crisi finanziaria globale.
A fronte della sostanziale stabilità del reddito medio familiare in termini reali, il reddito medio equivalente, una misura che meglio approssima il benessere economico individuale tenendo conto della dimensione familiare e delle economie di scala che ne derivano, è salito a circa 18.600 euro nel 2016, il 3,5 per cento in più rispetto a due anni prima, dopo essere diminuito, ancorché con diversa intensità, tra il 2006 e il 2014.
L’andamento favorevole del reddito equivalente si è accompagnato con la ripresa, a tutti i livelli di reddito, della quota di famiglie che hanno dichiarato di essere riuscite, nel complesso dell’anno, a risparmiare parte del loro reddito (in media, dal 27 al 33 per cento). Tra le famiglie appartenenti al 30 per cento con reddito più basso è però cresciuta anche la quota di quelle che hanno dichiarato di aver fatto ricorso ai risparmi o di essersi indebitate per finanziare la propria spesa. È altresì diminuita la quota di famiglie che nel 2017, al momento dell’intervista, hanno dichiarato di arrivare a fine mese con difficoltà; il calo è stato più evidente tra le famiglie con redditi al di sotto di quello mediano. Nel loro complesso, le famiglie si attendevano un andamento ancora positivo del loro reddito nel corso del 2017: la quota di nuclei che ne prevedevano una crescita superiore a quella dei prezzi è raddoppiata all’8 per cento, mentre è diminuita di oltre 8 punti, al 44 per cento, quella di famiglie che ne prefiguravano una flessione.
La crescita del reddito equivalente reale non è stata uniforme tra gruppi socio-demografici. La ripresa ha interessato, pur in misura difforme, i nuclei con capofamiglia (ovvero il componente con il reddito maggiore) fino a 55 anni e con oltre 65 anni e quelli dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. È invece proseguita la caduta dei redditi equivalenti per le famiglie con capofamiglia tra i 56 e i 65 anni e per quelle dei lavoratori autonomi, il cui livello resta tuttavia in media più elevato.
LA POVERTA’
Il benessere materiale di una famiglia è solitamente associato al reddito equivalente (ovvero modificato per rendere confrontabili tra loro nuclei di dimensione e composizione diversa) complessivamente percepito in un anno. Sono considerate a rischio di povertà le persone con un reddito al di sotto di una soglia ritenuta socialmente accettabile, convenzionalmente posta uguale al 60 per cento del reddito equivalente mediano. Questa definizione non considera però le altre risorse finanziarie cui la famiglia può attingere per soddisfare le proprie esigenze: tra i vari motivi, le famiglie accumulano ricchezza per far fronte a eventi, attesi o inattesi, che comportino riduzioni del reddito familiare, come ad esempio il pensionamento, la perdita dell’impiego o l’insorgere di malattie gravi. Per misurare l’incapacità di fronteggiare brevi periodi di difficoltà economica, si definiscono “finanziariamente povere” quelle famiglie che detengono una ricchezza in attività finanziarie, più facilmente liquidabili, modificata per tenere conto della struttura familiare, inferiore a un quarto della soglia che individua il rischio di povertà. In altre parole, una famiglia è finanziariamente povera se, anche liquidando tutte le attività finanziarie immediatamente disponibili, non ha risorse sufficienti per evitare il rischio di povertà per almeno tre mesi.
Nel 2016, si trovava in questa condizione di vulnerabilità il 44 per cento della popolazione, una quota ancora decisamente superiore a quella registrata nel 2006, prima dell’avvio della crisi finanziaria globale, ma in calo dal picco del 2012.
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