La sfida di Marta: 550 km tra i ghiacci dell’Alaska, cantando per tenere lontani i lupi
L'atleta varesina ha partecipato (vincendo) l'Idita Sport, una maratona estrema tra i ghiacci dell'Alaska. Ecco il suo racconto
L’Idita Sport non è una gara da tutti: 550 km da percorrere tra i ghiacci dell’Alaska, temperature fino a 35 gradi sotto zero, una slitta da trainare con provviste ed equipaggiamenti e (quasi) nessun aiuto lungo il percorso. Ma Marta Poretti non solo ha portato a termine questa Ultra Marathon, ma si è anche classificata prima tra le donne e seconda nella classifica assoluta.
«Ho chiuso il percorso in 8 giorni e mezzo -racconta la ragazza originaria di Busto Arsizio e che ora vive a Mercallo- e avrei anche potuto fare meglio se non avessi incontrato una perturbazione a metà del viaggio e se non fossi incappata in qualche inconveniente». Perchè l’Idita è una gara particolare che «si può fare a piedi, con gli sci o in mountain bike» ma per la quale devi pensare a tutto. Marta l’ha affrontata a piedi «con una slitta legata al marsupio con tutte le cose che mi sarebbero servite, dal sacco a pelo al cibo» perchè «lungo il percorso ci sono sì dei punti di controllo con alcune tende ma ti danno solo dell’acqua».
E così, passo dopo passo, le miglia scorrevano sotto gli scarponi e le lamine della slitta. «Io ho viaggiato quasi sempre da sola, cercando di razionalizzare le pause e così spesso ho dormito nei boschi, chiudendomi così com’ero nel sacco a pelo» non senza qualche problema o preoccupazione, animali in primis. «Sapevo della presenza delle renne, ho capito quali erano le loro tracce quando le vedevo cambiavo direzione. Poi un giorno ho iniziato a vedere impronte che mi sembravano familiari e mi sono chiesta “cosa ci fanno i cani qui?”. Non ci ho messo molto a capire che erano lupi. Per fortuna avevo un lettore mp3 con delle canzoni che avevo chiesto ai miei amici. E così quando mi fermavo nei boschi le mettevo a tutto volume, cantavo e tenevo lontano tutti con la mia vocina».
Ma gli imprevisti di questa avventura sono anche altri. «Ho dovuto attraversare un fiume congelato con il ghiaccio in superficie che continuava a rompersi» e quindi alla fine «l’ho fatto con l’acqua alle ginocchia, appoggiandomi ad un secondo strato di ghiaccio». Oppure verso la fine dell’impresa «una notte, in mezzo ad una bufera, mi sono persa e il fatto che qualche giorno prima avessi perso gli occhiali da vista certo non ha aiutato».
Nonostante tutto alla fine Marta ha tagliato il traguardo, con un ottimo risultato. Certo, partiva con un curriculum di tutto rispetto con la Grande Corsa Bianca sul Tonale -vinta per 3 volte- o la maratona di 400 chilometri nel deserto del Gobi fatta -e vinta- lo scorso ottobre «ma di esperienze artiche non ne avevo mai fatte». E quindi anche lei si è dovuta allenare. «Guardando gli altri partecipanti ho visto che in tanti si preparavano trascinando un copertone ma io ero convinta che non fosse la slitta ad essere la parte importante. Secondo me quello che devi allenare è l’abitudine al dormire poco, allo stare tante ore sulle gambe e al freddo». E adesso? «Beh, per prima cosa mi voglio riprendere da questa attività; poi si vedrà».
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