Laura Prati, il secondo atto di un processo
Domani comincia l’udienza in Corte d’assise d’appello dopo la decisione della Cassazione. In un servizio del programma Le Iene il ricordo di quei giorni, le testimonianze dei familiari della vittima e del suo carnefice
Sono passati cinque anni quasi, da quel maledetto due luglio in cui un uomo armato entrò in municipio e sparò al sindaco di Cardano al Campo e al suo vice, mettendo a ferro e fuoco un intero paese: molotov contro la sede della Cgil, spari alla polizia, cui seguì l’arresto.
Costantino Iametti, il vice sindaco, si salvò colpito all’addome.
Laura Prati morì venti giorni dopo a seguito di un’emorragia verificatasi nel corso di un intervento chirurgico.
Per questi fatti Giuseppe Pegoraro è stato condannato all’ergastolo, ma ha impugnato la sentenza in Cassazione.
Ed è stata proprio la prima sezione penale della Cassazione a decidere per far tornare il processo dinanzi alla corte d’Assise d’appello di Milano.
L’obiettivo della difesa è quello di mitigare la pena, chiedendo le attenuanti generiche. Non più l’ergastolo, quindi, per l’ex vigile di Cardano al Campo, se la Corte valuterà positivamente le argomentazioni dei ricorrenti.
Il processo comincerà domani, martedì 27 marzo.
Alla vigilia di questo dibattimento la trasmissione “Le Iene” ha realizzato un servizio a firma di Giulio Golia (con alcune delle immagini girate dalla redazione di Varesenews) che ricorda quei giorni.
Sono state ripercorse le tappe di quel martedì dove gli spari echeggiarono non solo in Comune, ma anche nelle tranquille vie del centro storico del paese. Hanno parlato il vice sindaco Costantino Iametti e la moglie, oltre al marito di Laura, Pino e il figlio più grande, Massimo Poliseno.
Nella ricostruzione televisiva della vicenda viene toccata anche la questione di una sorta di memoriale trovato nell’abitazione di Pegoraro, uno scritto in terza persona dal titolo “Redde Rationem”, resa dei conti.
Le telecamere arrivano anche alla sorella di Pegoraro, convinta che il fratello debba pagare per l’errore commesso, ma che chiede le attenuanti generiche, proprio come fatto dall’ex vigile che si è definito durante il dibattimento come un “tiratore esperto e che sa dove sparare per uccidere”. Come dire: se avessi voluto ammazzare, avrei sparato alla testa.
Ora la palla passa al Giudice d’Appello, dopo il rinvio imposto dalla Suprema corte.
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Un uomo premedita, si arma, entra in municipio e spara per uccidere. Se poi per la giustizia (…) di questo paese non è sufficentemente chiaro esprimere una sentenza allora mi chiedo cosa si debba fare per ritenere una persona colpevole.
VERGOGNA