«Loco ma con cabeza». Kevin Benavides si racconta a VareseNews
L'argentino, pupillo del varesino Bianchi è stato secondo alla Dakar. «Unire navigazione e velocità è fondamentale nei rally. Ora voglio il Mondiale»
«Per andare forte nei rally in moto non devi aver paura, devi essere per forza un po’ loco, però un loco con cabeza perché andare a manetta non basta. Per fare risultato devi anche essere molto bravo nella navigazione, nel leggere le note del road book, nell’interpretarle e nel decidere rapidamente cosa fare».
Kevin Benavides, 29 anni, argentino di Salta, riassume così la propria, affascinante disciplina. Kevin di professione corre in moto e da qualche anno si è dedicato ai rally raid, le gare come la “Dakar” alla quale ha partecipato due volte con risultati di altissimo profilo: 4° nel 2016 con una Honda clienti, secondo lo scorso gennaio con la moto ufficiale del team Monster Energy Hrc. Quello diretto da un varesino, Martino Bianchi, che ha accompagnato Benavides nella redazione di VareseNews alla vigilia della sua partenza per Abu Dhabi, sede della prima gara del mondiale di specialità (ribattezzato “Cross Country”).
Benavides in gara alla DakarAll’ultima Dakar il pilota argentino, che ha anche vinto la tappa conclusiva, ha dato una grande mano alla Honda che aveva perso l’esperto portoghese Goncalves prima del via e non era riuscita a fare classifica con l’uomo di punta, lo spagnolo Barreda. Benavides ha concluso alle spalle del solo Matthias Walkner, l’austriaco che ha permesso a Ktm di vincere ancora una volta il massacrante raid tra le moto. «La Dakar è una gara durissima – ci racconta Kevin – ma io sono riuscito ad avere molta costanza e a tenere una buona strategia. Ho commesso un errore di percorso in Argentina perdendo 50′ in una tappa (Honda ha presentato un reclamo che è stato respinto: la Dakar si gioca anche sulla… politica ndr) ma nel finale ho rimontato e nel complesso sono molto soddisfatto, Credo di aver disputato una prova matura, ed ero solo alla seconda partecipazione».
Benavides ora ha chiari i prossimi obiettivi: «Quest’anno farò sei gare: le cinque inserite nel Campionato del Mondo e poi il rally Merzouga. Quindi ritenterò la Dakar a gennaio 2019. Voglio vincere ad Abu Dhabi per iniziare, e poi voglio vincere il mondiale nonostante le Ktm o la Husqvarna di Quntanilla, i miei rivali più pericolosi».
Una determinazione notevole ma spiegabile con la passione che alimenta le giornate di Kevin: «Sono salito su una minimoto per la prima volta a tre anni, perché mio papà è stato pilota e ci ha subito contagiato (anche il fratello Luciano gareggia ndr). A 9 anni ho iniziato a correre in enduro, a 16 ero praticamente professionista, quindi ho trascorso quasi un anno (2012) in Italia perché correvo per un team bergamasco. Nel 2015 ho scoperto i rally e da allora non li ho più lasciati».
Per dare l’assalto al Mondiale, Benavides si allena in modo scrupoloso sotto il profilo fisico oltre ad avere un mental coach per la parte psicologica: «Faccio due sedute al giorno di allenamento, almeno cinque giorni a settimana. Pesi in palestra e poi lavoro aerobico, soprattutto bicicletta, attività che mi piace molto». Ma poi torna a spiegare dell’importanza di essere un pilota completo. «I rally, specie in moto, sono rischiosi e non ci si può permettere di avere paura, però è altrettanto necessario stare attenti ai pericoli. La tecnica di guida della moto è importante ma ciò che più conta è saper unire la navigazione alla velocità. Il road book è fondamentale: amo dire che la strada va seguita solo per confermare quanto c’è scritto nelle note».
Benavides, che parla un buon italiano anche grazie alla vicinanza con Bianchi, ama anche conoscere i territori che lo ospitano. Per questo resta affascinato dal numero di imprese che nel Varesotto si occupano di motociclismo e accessori e che oggi stanno facendo crescere il progetto “Varese Terra di Moto”. «Io sono cresciuto solo grazie alla mia famiglia e ai rapporti stretti con la nostra attività. Avere un’associazione o una rete di persone e di aziende alle spalle può essere molto interessante, anche nell’ottica di far crescere giovani talenti. Chissà se qui a Varese non possa sbocciare qualcuno in futuro».
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