Evasione dai Miogni, assolte le cinque guardie carcerarie
La corte ha deciso: il fatto non sussiste, non aiutarono a fuggire i tre detenuti nel febbraio di 5 anni fa

Si è chiuso con l’assoluzione il processo “Alcatraz” che vedeva imputati di fronte al collegio giudicante di Varese un assistente capo e quattro agenti di polizia penitenziaria accusati di aver favorito l’evasione di tre detenuti il 21 febbraio 2013.
Si tratta di Rosario Russo, il graduato e gli agenti Francesco Trovato, Domenico Di Pietro, Carmine Petricone e Angelo Cassano, imputati per aver secondo l’accusa fiancheggiato e favorito l’evasione di tre detenuti: Victor Miclea, Daniel Parpalia, e Marius Bunoro.
La sentenza pronunciata oggi, però, dice che le cose non andarono così.
Le richieste del pubblico ministero Annalisa Palomba pronunciate di fronte al giudice collegiale (presidente Anna Azzena, a latere Stefano Colombo e Valentina Maderna) lo scorso 24 maggio andavano dai sette anni agli otto anni e sei mesi.
Durante il processo sono stati ricostruiti gli ambienti del carcere dei Miogni al periodo dei fatti, la vita carceraria (“radiocarcere”, il sistema comune usato dai detenuti i quali, benché separati, riescono a rimanere informati su tutti i fatti che riguardano la vita all’interno della prigione), le condizioni strutturali delle prigioni varesine e gli spazi frequentati dai detenuti fuori dalle celle.
Argomentazioni pronunciate anche oggi, 28 giugno, nell’ultimo passaggio difensivo volto a dimostrare l’assenza di un accordo a base di sesso e soldi fra detenuti e guardie carcerarie per dare seguito all’evasione.
Per questa ipotesi i cinque imputati vennero arrestati con ordinanza di custodia cautelare, il 9 dicembre 2014 per le ipotesi di reati di procurata evasione, corruzione, falso ideologico, minaccia, intralcio alla giustizia.
L’unica condanna è arrivata per Rosario Russo ritenuto responsabile però solo di un falso ideologico nell’annotazione di servizio relativa alla notte dell’evasione e per questo condannato a un anno e sei mesi: «Facciamo fatica a capire come sia stato possibile arrivare a questa condanna, vedremo le motivazioni», commenta il legale Marco Lacchin, nel complesso comunque soddisfatto per la decisione dei giudici, persa ai sensi dell’articolo 530 secondo comma “perché il fatto non sussiste”. La camera di consiglio è durata dalle 14 alle 17.
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