Openjobmetis al via tra gli applausi. Chiamatela “Caja Varese”
L'allenatore è il grande protagonista della presentazione dei biancorossi davanti a circa 600 tifosi entusiasti. "I miei giocatori sono tutte prime scelte"
Se in Italia ci fosse più attenzione a certe figure provenienti dal mondo dello sport, un po’ come accade negli USA con il college basket, Attilio Caja sarebbe un personaggio capace di attirare a sé il grande pubblico, nel bene e nel male, come fanno certi santoni della panchina. Affabulatore e spigoloso, maniaco dei dettagli, capace di lavorare di bastone e di carota, il tecnico della Openjobmetis si è preso la scena nel corso della serata di presentazione della nuova squadra, quella in versione 2018-19, che potremmo già definire la “Caja Varese”.
Una formazione scelta, selezionata e plasmata secondo le richieste dell’allenatore capace di riportare Varese ai playoff dopo cinque stagioni. Un risultato ottenuto partendo – come al Palio di Siena – di rincorsa dall’ultimo posto del girone di andata, cosa che ha rafforzato ancora di più il legame con il pubblico biancorosso. Che, numerosissimo (circa 600 persone al palazzetto in una domenica di mezz’agosto), ha acclamato i suoi beniamini vecchi e nuovi, riservando applausi speciali proprio all’uomo della panchina.
Caja – detto “l’Artiglio”, un po’ per assonanza con il nome, un po’ per il suo carattere – è stato volentieri al gioco. Dopo l’introduzione di Andrea Conti, nuovo general manager ed erede di Claudio Coldebella, il coach ha tirato fuori la sua anima sergentesca, passando letteralmente in rassegna la sua truppa. Una squadra schierata a bordo campo, di fronte a parterre e tribuna Ovest, in cui volti noti e novità si sono mescolati, con i primi a far da ciceroni e traduttori ai secondi (Ferrero, in particolare, si è subito preso da parte Scrubb, uno dei bomber designati). E così, il sergente Caja – passeggiando avanti e indietro, una mano sul fianco e una col microfono – ha benedetto i suoi, ringraziato chi non è più nella rosa (anche quell’Okoye per cui, in un’altra occasione, il coach ha parlato di “zero rimpianti”), promesso che il lavoro sarà di nuovo la pietra d’angolo di questa Varese. Ha anche lanciato una dichiarazione di intenti («Lo scorso anno volevamo lasciarci una squadra alle spalle, quest’anno proviamo con due») e una di guerra, verso Brescia: «Abbiamo un conto in sospeso con la squadra che ci ha eliminato, nonostante fossimo stati in vantaggio per quasi tutto il tempo. I vecchi lo sanno, ai nuovi l’ho già detto: all’esordio in campionato non avremo una partita, ma la partita».
E poi, carezze e pungoli. Avramovic: «Quando uno sta male va dal dottore. Io per scaricarmi vado da Avramovic. Anche mia moglie, quando mi vede arrabbiato mi dice: “Guarda che io non sono mica Avramovic». Iannuzzi: «Qualcuno come Moore o Archie ha sposato subito la nostra proposta, qualcun’altro come Antonio si è fatto pregare… Ma speriamo che ci ripaghi dell’attesa». Forse una stoccata tra le righe è andata anche al ct Sacchetti: «L’unico allenatore che può fare la squadra che vuole è quello della Nazionale: può chiamare tutti. Con un club è più difficile ma io sono contento dei nostri giocatori. Quelli che abbiamo preso sono tutte “prime scelte” sul nostro elenco». E per non far mancare nulla, ecco anche lo sguardo all’Europa: «Ce la siamo conquistata sul campo, e io sono del parere che non bisogna rinunciare a ciò che si è guadagnato. Grazie alla società per averci iscritto alla Coppa, ora però non lasciateci soli al mercoledì sera».
E giù di applausi, come quando passa il microfono al neolaureato Ferrero («Piccolo dottore, la laurea è triennale») o indica Tyler Cain – amatissimo pure lui – come capitano aggiunto. Insomma, è già la Openjombetis Caja Varese, e con un portafoglio non così ricco, probabilmente, questa è la miglior ricetta possibile. Quella che l’anno scorso ha fatto sognare la città.
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