Le Bcc non sono Lehman Brothers, dopo il crac troppe regole inadatte

A dieci anni dal crac del colosso americano, Federcasse si interroga su quale modello di business sia più efficace e sostenibile

Bcc

A dieci anni dal fallimento di Lehman Brothers che innescò  la più grande crisi finanziaria della storia di cui ancora si avvertono le pesanti conseguenze, Federcasse (la Federazione Nazionale delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali) riflette su quali modelli di sviluppo siano da considerare idonei a favorire la crescita inclusiva e sostenibile per evitare il ripetersi di crisi globali prima finanziarie poi economiche e sociali dagli impatti enormi.

Per Federcasse, nel tentativo di mettere in sicurezza il sistema finanziario globale, si è prodotto però negli anni un eccesso di regolamentazione che non ha saputo considerare la diversità delle banche, né si è declinata secondo criteri di indispensabile proporzionalità. Con il risultato che norme “pensate” per grandi banche aventi natura giuridica di società di capitali sono andate ad impattare, con abnorme aggravio di costi, sulle realtà minori, quali le banche cooperative mutualistiche e, più in generale, le istituzioni che fanno finanza per lo sviluppo. Quelle che non causarono la crisi e che, dati alla mano, in questi dieci anni si sono dimostrate più “resilienti” nonché strumento indispensabile per la tenuta di interi sistemi economici.

Federcasse ricorda, a questo proposito (e nonostante la mancanza di un “terreno di gioco livellato” sul piano normativo), che a livello patrimoniale, le BCC sono passata dai 18,4 miliardi del 2009 ai 19 miliardi e 425 milioni di fine 2017 (+ 5,43%).

Allo stesso tempo, è stato incrementato il patrimonio delle banche di secondo livello, future capogruppo dei nuovi gruppi bancari cooperativi, complessivamente da 1 miliardo e 238 milioni ai 2 miliardi e 871 milioni. Il segno evidente e oggettivo che non si è dilapidata ricchezza. Anzi se ne è creata. E sempre in una logica di sostegno ai territori, senza alcun obiettivo di massimizzazione del profitto individuale.

Tutto questo, secondo Federcasse, è avvenuto, peraltro, in uno dei decenni più duri per le istituzioni economico-finanziarie. Un decennio nel quale le Bcc hanno risolto al proprio interno, e senza alcun contributo pubblico, situazioni di criticità; capitalizzando efficacemente i nascenti gruppi bancari; difendendo i livelli occupazionali e accrescendo le quote nel cruciale mercato dell’erogazione del credito. Dietro questi numeri, il dato centrale di un modello di business che ha dimostrato tutta la sua efficacia e che deve essere costantemente adeguato, ma non snaturato.

«Reinvestendo sul territorio il risparmio che in quel territorio si origina – dice il presidente di Federcasse, Augusto dell’Erba – cioè continuando a fare banca con l’obiettivo di creare benessere diffuso, le Bcc hanno continuato a sostenere l’economia reale svolgendo un riconosciuto ruolo anticiclico. E le quote di mercato sono cresciute arrivando al 22% del totale dei crediti erogati alla piccole imprese della manifattura e dell’artigianato, al 20% per le imprese dell’alloggio e ristorazione (turismo), al 19,6 per quelle del settore agricolo ed agroalimentare, al 14% per le imprese del terzo settore».

«È arrivato il momento – aggiunge dell’Erba – che si apra un dibattito ai più alti livelli sull’attualità e sulla efficacia del modello di banca cooperativa e mutualistica. Multidimensionale per definizione e che pertanto ha bisogno di un approccio che ne sappia distinguere le specificità normative ed organizzative e, soprattutto, ne possa misurare l’efficacia rispetto ad una missione differente».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 14 Settembre 2018
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