Quale futuro? Quello dove c’è la passione
Al teatro Santuccio, i rettori delle due università varesine Insubria e Liuc hanno affrontato il tema del "dopo la scuola"
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Quale futuro? Ne hanno parlato al teatro Santuccio di Varese i due rettori degli atenei varesini Alberto Coen Porisini dell’Universita dell’Insubria e Federico Visconti della Liuc nell’ambito di #FuturaVarese.
In un’era scandita da notizie sui dati dell’occupazione, sulle professioni più richieste e sulle esperienze all’estero, diventare adulti non é semplice. C’è però la passione che può essere l’unica barra di navigazione verso la propria professione.
Il punto è capire, quanto prima, quali passioni e quali inclinazioni: «se è facile per chi ha capacità ben specifiche, può diventare difficoltoso per chi si barcamena in modo più o meno eccellente in tutte le materie. Ecco perché occorre cominciare a sperimentare, provare e mettersi in gioco il prima possibile» ha affermato Coen Porisini sostenuto dal rettore della Liuc che ha raccontato dei suoi trascorsi giovanili al fianco dello zio elettricista a passare cacciavite e pinze: « Il timore di sbagliare c’è e ritrovarsi così a metà dell’università insoddisfatti – ha commentato Visconti – per questo prima si comincia a mettersi in gioco meglio è. Va bene andare a Ibiza a divertirsi ma solo se si alterna a momenti in cui ci si mette in gioco. La vita è fatta di osservazione, di spazi ma anche di attitudini e a volte colpi di fortuna. Occorre allenarsi ad accaparrare i lavori».
Non seguire mode o tendenze e, men che meno, le statistiche occupazionali: « Ritrovarsi a studiare una cosa che non piace – ha sottolineato Coen Porisini – è molto triste anche perché il lavoro che si intraprende poi condizionerà l’esistenza».
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Entrambi i rettori hanno concordato sulla qualità del sistema formativo italiano, nonostante tante glorificazioni delle realtà straniere: « Non badate a chi condanna il paese al capolinea perchè ha perso creatività – ha proseguito il rettore di Castellanza – Certo, noi oggi offriamo molte meno opportunità rispetto ad altri. Quanti si rivolgono a noi per cercare personale, però, chiedono ancora motivazione, originalità, profondità di pensiero. Il sistema italiano offre tutto ciò e potrebbe offrire di più graduando le innovazioni. Occorre che tutti facciamo il nostro pezzetto per migliorare l’intero percorso».
E sul numero chiuso, Alberto Coen Porisini ammette l’amara verità: «Il sistema accademico non è gestito dal Ministero dell’Università ma da quello Economico. Oggi il numero chiuso è una garanzia di qualità dell’insegnamento: aprire a tutti vorrebbe dire non avere strumenti e laboratori. Per aumentare gli iscritti occorrerebbe aumentare le risorse. Anche in medicina, un settore dove la penuria di medici e specializzati sta venendo drammaticamente alla luce. Ma allargare le maglie costa. E i soldi non ci sono».
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