Cambio al vertice dell’Insubria. Porisini: “Grazie Varese, è stato un onore”

Il rettore dell'Università dell'Insubria sta per togliere "l'ermellino". Si chiudono sei anni di lavoro gratificanti ma anche drammatici per lo stato di salute del mondo accademico

Inaugurazione XX anno accademico Università dell'Insubria

Dopo 12 anni non sarà più Magnifico né, tantomeno, Amplissimo.
Sarà soltanto “Professore”, magari “Chiarissimo”, come uno dei tanti docenti accademici italiani. Da domani, 1 novembre, Alberto Coen Porisini non sarà più alla guida dell’Università dell’Insubria (leggi la prima intervista da rettore). Al suo posto, il nuovo Magnifico sarà il professor Angelo Tagliabue che reggerà l’ateneo per i prossimi 6 anni.

Come si sente in questo momento?
Tranquillo. Da lunedì si volta pagina. Torno a fare il professore, a occuparmi del mio corso e del mio Dipartimento. Ci sono tante novità in cantiere. Sono ben felice di iniziare il nuovo impegno

Come sta l’università italiana?
Direi che sta abbastanza bene, nonostante tutto. Da anni, l’istituzione accademica è vittima di un comportamento disattento da parte della politica. Non mi riferisco in particolare al questo Governo di cui abbiamo visto troppo poco. Ma arriviamo da stagioni di tagli e interventi dettati da ragioni che con la cultura e la formazione nulla c’entravano. È una questione di risorse: nel nostro paese si investe nell’educazione la metà di quanto fanno gli altri paesi. E si vede.

In che senso si vede? La qualità è peggiorata?
No. La qualità rimane alta e c’è una spiegazione. L’età media dei docenti accademici è molto elevata perché non c’è turn over. Così i nostri ragazzi preparati cercano alternative all’estero. Quando questa classe di professori andrà in pensione, avremo il vuoto. E sarà troppo tardi per rimediare. Se non apriamo le porte dei nostri atenei ai ragazzi, e quando parlo di ragazzi penso a giovani di 27/30 anni, tra qualche anno il problema della formazione universitaria sarà un dramma. Se perdiamo i giovani, perdiamo la conoscenza. Io, all’età di 57 anni, vengo ancora considerato un giovane, un volto nuovo del mondo accademico. Ma ci rendiamo conto?

L’Università dell’Insubria è cresciuta in questi anni, ma ha molti corsi a numero chiuso. Non si può andare oltre?
La crescita è un obiettivo che ci siamo posti e che abbiamo raggiunto. In questi sei anni ho visto aumentare il numero di matricole da 2200 a 3600. La popolazione studentesca globale dovrebbe arrivare a 13.000 e possiamo ancora ipotizzare un’espansione fino a 15.000. Ma oltre non si può andare. La crescita di un ateneo presuppone spazi adeguati, laboratori sufficienti, infrastrutture e servizi. L’Insubria non può pensare di diventare un grande ateneo, come l’Università di Pavia o di Bologna. Le nostre dimensioni devono essere equiparate alle dimensioni che la città può offrire. In questo momento, inoltre, l’ateneo soffre per carenza di personale: mentre vede accrescere il numero di corsi e di studenti, ha visto ridursi i dipendenti. Siamo passati da 380 dipendenti a 360, una contrazione pesante che ora, senza più vincoli per il turn over, possiamo pensare di invertire ma ciò non avverrà nell’immediato.

Il suo predecessore Renzo Dionigi disse, all’inizio della vita di questo ateneo, che una città ha bisogno di almeno 20 anni per diventare universitaria. Nel 2018 l’Insubria ha raggiunto questo traguardo. Varese è diventata città universitaria?
Bisogna intendersi sul significato di “città universitaria”. Secondo me, una città si può definire tale se comincia a inserire nei ruoli chiave cittadini i suoi ex studenti. Credo che, se guardiamo a questo dato, Varese è diventata città universitaria perchè ormai i suoi “ex” sono diffusi in diversi settori e ruoli. Ribadisco, Varese non può diventare come Pavia o Bologna dove le università hanno tradizioni centenarie, ciononostante reputo che il livello di integrazione raggiunto sia soddisfacente.

In questi anni lei ha lavorato molto per far incontrare ateneo e città, ha fatto dell’Insubria una realtà aperta
Sì. Io vengo dal Politecnico, università molto pragmatica il cui rapporto con il territorio è fondamentale. Questa visione mi appartiene per cui non ho avuto dubbi quando si è trattato di sedersi al tavolo e lavorare insieme. Inoltre, la mia generazione è sicuramente meno legata a una cultura un po’ austera e chiusa del mondo accademico di una volta. In questo sì che sono della nuova generazione….

C’è qualcosa che rimpiange alla fine del suo mandato?
No. Rifarei tutto ciò che ho fatto. In genere, non sono uno che rimpiange

Il risultato che maggiormente l’ha soddisfatta?
Il campus di Bizzozero. Veder crescere la cittadella universitaria e aprirla alla città è stato il momento più gratificante. Lì si concentra la mia visione di istituzione accademica: un punto di incontro tra mondo della cultura e società civile. Così io vedo il futuro. Sempre a Bizzozero, se e quando otterremo altri spazi nell’ex ospedale psichiatrico di via Rossi, continueremo a crescere inseriti nel quartiere. Quello sarà il polmone naturale dove proseguire lo sviluppo con la realizzazione dei nuovi servizi e di altri corsi di studio.

Come l’ha trattata la città?
Se si riferisce alle polemiche relative all’azienda ospedaliera, beh non hanno certamente riguardato la mia persona. Erano relative a un contesto e a un modello molto circoscritto. Io credo di aver ricevuto molto da questa città e sono lieto di aver potuto svolgere il mio lavoro con tanto entusiasmo e aver ottenuto la partecipazione da parte di tutte le istituzioni. Io amo Varese. È la mia città. Ci sono tornato nel 2001 e non ho alcuna intenzione di lasciarla.

Da lunedì, il Prof Alberto Coen Porisini rientrerà nella sua classe del corso di informatica e riprenderà il lavoro. Una nuova pagina avrà inizio.

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

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Pubblicato il 31 Ottobre 2018
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