I capi non sono amati dai loro collaboratori
Alla Liuc Business School è stata presentata la ricerca "Good boss vs bad boss". Il buon capo è disponibile al confronto e ha obiettivi chiari. D'Amato: «Per 50 anni abbiamo fatto la domanda sbagliata alle persone sbagliate»
Se alla fine del convegno “Good boss vs bad boss” avessero chiesto ai partecipanti di pagare un biglietto, nessuno si sarebbe opposto. E non per una questione di educazione. I risultati della ricerca relativa a come i collaboratori considerano i loro capi, condotta dai ricercatori del Centro sul cambiamento, la leadership e il people management della Liuc Business School, colmano un gap della letteratura sull’argomento e forniscono ai manager indicazioni importanti sull’efficacia dei loro comportamenti. Portare 130 persone in un’aula universitaria e coinvolgerle attivamente nella ricerca per tre ore, senza momenti di noia, è una performance da record.
Il centro sul cambiamento diretto dal professore Vittorio D’Amato si candida così a diventare «il termometro del management italiano». Nonostante sulla materia ci siano già alcuni punti fermi e una vasta letteratura, non è certo un compito semplice. «Per 50 anni – ha spiegato D’Amato – abbiamo fatto la domanda sbagliata alle persone sbagliate. Abbiamo chiesto ai manager di portare i risultati, niente di più errato perché il focus non sono i risultati ma le persone. I manager devono mettere i loro collaboratori nelle condizioni per lavorare al meglio».
Il talk di Vittorio D’Amato a TEDxVarese 2018: “Reinventare il management”
Una delle caratteristiche principali dei manager, secondo Raffaele Secchi, direttore della Liuc Business School, è la resilienza. «I manager – ha detto Secchi – devono essere incassatori in nome del bene comune». Dopo i risultati di questa ricerca, la capacità di incassare dei manager diventa fondamentale per poter risollevare la loro autostima. Dei 632 intervistati, che formano il gruppo campione della ricerca, a cui è stata posta a domanda se consiglierebbero il proprio capo ad amici, colleghi e famigliari come una persona con cui lavorare, solo il 26,09% li promuove, il 39,31 % li sconsiglia mentre il 34,49 rimane neutrale. In questo caso il calcolo del “Net management promoter score” (NMPS), ovvero promotori meno detrattori, basato su un modello sviluppato alla Harvard University di Boston e teorizzato da Julian Birkinshaw della London Business School, dà un risultato ampiamente negativo, pari a -13,22%.
Le ricercatrici della Liuc Business School, Elena Tosca e Francesca Macchi, nel presentare la ricerca hanno elencato i comportamenti che i collaboratori si aspettano dai loro capi. Tra le diverse categorie di persone intervistate, vale a dire dirigenti, impiegati e operai, è interessante rilevare che la “disponibilità al confronto“, come indicazione primaria, e gli “obiettivi chiari“, come indicazione secondaria, sono comportamenti richiesti da tutte e tre le categorie. Solo gli operai indicano invece il “premio per risultati” e il “feedback“, mentre i dirigenti chiedono di svolgere “il compito in un contesto più ampio“.
Anche i tanti presenti al convegno, grazie allo smartphone, hanno potuto rispondere alla domanda dell’indagine e indicare i comportamenti del loro capo ideale. I risultati ottenuti in aula coincidono con quelli della ricerca: prevalgono i detrattori sui promotori e dal buon capo ci si aspetta la capacità di ascoltare, motivare, delegare, guidare, decidere, gestire e avere visione.
Nella nuvola dei comportamenti preferiti dal pubblico è comparso anche uno spiritoso «sono Batman».
«I manager hanno tante qualità – ha commentato laconico D’Amato – ma non sono certo dei supereroi».
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