Essere gli unici padroni del vapore non giova più a nessuno
Il presidente della Liuc, Michele Graglia, e il presidente della Compagnia delle opere, Bernhard Scholz, si sono confrontati nell'ambito della giornata "Oltre l'impresa" organizzata dalla Cdo Insubria
«La luce della verità, usava dirmi mio padre, risplende soltanto negli atti e non nelle parole». Questa frase di Adriano Olivetti, pronunciata all’inizio dell’incontro “L’innovazione dell’uomo: come passione e realismo aiutano a crescere”, è stata una saggia istruzione per l’uso, perché i due relatori Michele Graglia, presidente dell’Università Liuc, e Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle opere (Cdo), di parole belle e splendenti ne hanno dette tante.
Per chiudere un programma intenso, come è stato quello di “Oltre l’impresa“, ovvero “Ritorno al futuro 4.0”, organizzato dalla Cdo Insubria all’ateneo di Castellanza, bisognava evitare la trappola delle banalità. E Graglia e Scholz per buona parte dell’incontro ci sono riusciti perché si sono raccontati partendo da ciò che hanno fatto, senza omettere le preoccupazioni e le paure che hanno contraddistinto i rispettivi percorsi.
Mettersi nuovamente in gioco da adulti, come ha fatto Graglia sostenendo un’audizione per entrare a far parte di un’orchestra, non è così scontato. «Sono ingegnere meccanico e imprenditore – ha raccontato il presidente della Liuc – ma anche diplomato in violino al conservatorio. E quando mi sono presentato all’audizione della Verdi, mi tremavano le gambe come da ragazzino. Suonare mi fa uscire dalla quotidianità e farlo in un’orchestra, che è il miglior sistema di organizzazione sociale, mi ha fatto capire l’importanza della gerarchia».
Scholz, prima di fare il consulente per le aziende, faceva il giornalista. Poi qualcuno si è accorto che aveva dei talenti e così ha iniziato il suo percorso nel mondo della consulenza alle imprese, prima al porto di Amburgo e poi a Gioia Tauro. «Quando sono arrivato in Calabria – ha raccontato il presidente della Cdo – ho dovuto motivare le persone cercando di capire il loro lavoro, anche di notte. La persona vuol essere trattata seriamente è tanti piccoli gesti influiscono sul conto finale. Non credo nella carica emotiva, ma nelle ragioni vere che danno un significato al proprio lavoro. Bisogna far comprendere alle persone che il sistema in cui si muovono ha un valore sociale, umano ed economico. È così che si crea un clima positivo».
Fare il presidente di un’università «è uno stimolo continuo al confronto con gli studenti, ad apprendere e a rapportarsi al futuro». Così come per il consulente è l’incontro con le persone a fare la differenza. «Si deve sentire fisicamente il problema e avere un’empatia con l’imprenditore». Non è però così facile trovare un’empatia con gli imprenditori nostrani, famosi nel mondo per la loro creatività e per la grande flessibilità nel rispondere alle richieste del mercato, ma al contempo espressione di un capitalismo famigliare spesso chiuso in se stesso e poco incline al confronto con l’esterno. «Quando sono arrivato in Italia – ha detto Scholz – ho trovato aziende stupende e con il tempo ho capito che il consulente non deve cercare di imporre modelli precostituiti, ma deve prima entrare in relazione con l’imprenditore, come fa un medico: prima si ascolta e poi si cura. Alla fine è però l’imprenditore che deve decidere ed è meglio che lo faccia coinvolgendo tutti suoi collaboratori nella valutazione del rischio perché il leader salvatutto non esiste».
In un’economia globalizzata, se non ti apri al mondo, sarà il mondo ad entrarti in casa. È questo il rischio più grande che, secondo Graglia, corre l’impresa italiana. «Il limite della nostra imprenditoria è di essere padroni nel senso più profondo del termine. Fino a ieri poteva essere un vantaggio in termini di flessibilità, invece oggi, con la globalizzazione, credo che sia un problema. Essere gli unici padroni del vapore non giova perché viene meno quel confronto che permette all’impresa di evolvere nella stessa direzione in cui sta andando il mondo».
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