Il manicomio dei bambini
Alberto Gaino racconta la triste verità sulle persone internate nei manicomi. "Non si è tuttavia ridotto di molto il fenomeno di bambini che vivono in povertà – ora sono circa un milione e duecentomila - di cui trentamila ricoverati in istituti"
Nel corso degli anni del mio lavoro di giornalista, prima e dopo aver scritto Il manicomio dei bambini, ho conosciuto uomini e donne che vi erano stati rinchiusi. Dovrei dire ricoverati, ma la definizione non sarebbe esatta.
Non rispetterebbe i contatti che ho avuto con quegli stessi vecchi bambini, le testimonianze raccolte, le centinaia di documenti d’archivio, soprattutto in quello immenso, anche nel suo disordine, dei quattro ospedali psichiatrici torinesi. Fra cui spiccava il manicomio di Collegno, celeberrimo per il caso Bruneri o Canella, detto anche lo smemorato di Collegno. In 150 anni di storia vi si persero le vite di 100 mila uomini e donne, persino di bambini. Gli abitanti di una città di medie dimensioni.
Nel mio lavoro di inchiesta giornalistica mi sono occupato dei bambini che furono assurdamente internati in quei luoghi oscuri denunciato da un coraggioso libro Il paese dei celestini edito da Einaudi nel 1977 e non più ripubblicato in seguito.
Non erano tutti dei lager ma la maggior parte dei 5000 istituti medico-pedagogici sparsi per l’Italia lo erano o regalarono comunque un’infanzia grama ai 200 mila minori che vi trascorsero l’età dedicata ai giochi, alla spensieratezza, alla preparazione del futuro. Vi approdarono bambini con handicap gravi e lievi, soprattutto poverissimi, figli di nessuno o di madri nubili. Scarti sociali preventivi che, nel manicomio torinese, gli infermieri chiamavano arneis, arnesi, dal dialetto piemontese.
Rinchiusi in quei luoghi dall’età dei 2-3, quei bambini furono piallati da istituzioni totali in cui, spesso e volentieri, vivevano legati a qualcosa – al letto, termosifoni, tronchi d’albero in giardino, come dimostra la storia di Villa Azzurra, a Grugliasco, sede di uno dei quattro ospedali psichiatrici torinesi, alla cui documentazione d’archivio ho potuto attingere e di cui, in base alle cartelle cliniche e personali dei bambini, ho potuto ricostruire la storia e le storie sventurate dei suoi piccoli “ospiti”. Una storia esemplare perché, là, si ricorse per alcuni anni, nel decennio del boom economico dei Sessanta, all’uso punitivo dell’elettroschock. Punitivo: si dava la scossa elettrica a bambini svegli che, durante la notte, avevano sofferto di enuresi. Lo scopo dichiarato: dovevano imparare a governare gli sfinteri.
Ne ho scritto perché è trascorso, da allora, mezzo secolo senza fare i conti con quegli orrori. E altri, molto più contenuti nel tempo e nello spazio, come gli esperimenti clinici, al Gaslini di Genova, su altrettanti bambini poveri e soli, ricoverati nell’hospice dell’ospedale genovese in quegli stessi anni.
Nel 1978 è stata approvata la legge “Basaglia” che ha consentito di chiudere i manicomi, anche quelli dei bambini. L’Italia è diventato progressivamente un paese da alta a bassissima natalità.
Non si è tuttavia ridotto di molto il fenomeno di bambini che vivono in povertà – ora sono circa un milione e duecentomila – di cui trentamila ricoverati in istituti (sì, anche se aboliti dalla nostra normativa) case-famiglia, comunità.
Siamo un paese dai controlli così laschi che, pochi anni fa, il procuratore della Repubblica dei minori per il Piemonte e la Valle d’Aosta ha scoperto per caso l’esistenza di 5 comunità lager aperte in luoghi appartati del suo territorio di competenza da istituzioni tedesche. Vi si internavano ragazzi difficili di quel paese. Nessuna autorità tedesca aveva chiesto il permesso a quelle italiane. Forse ne esistono ancora in altre regioni. Sospetto legittimato dal fatto che ci si è limitati ad una ricognizione investigativa nel solo Piemonte.
Sopratutto la realtà della sofferenza psichica, oggi, è legata alla solitudine delle famiglie che hanno un figlio nelle condizioni di dover essere seguito, curato, aiutato a guarire. Invece, la carenza di risorse porta ad anni di attesa per la sola diagnosi. E alla cronicizzazione dei problemi. Le cure sono efficaci, a partire dall’autismo, se sono tempestive.
A Torino, dove vivo, ho conosciuto e apprezzato l’impegno e la dedizione di tanti operatori, in particolare di medici, psicologi e infermieri del reparto ospedaliero di neuropsichiatria infantile. Dove finisce, in spazi angusti, gran parte dei bambini e degli adolescenti in sofferenza psichica acuta di quella regione. Quel personale sanitario, come altro altrove, rappresenta una frontiera dell’Italia che si batte ogni giorno con difficoltà inimmaginabili. Riassumibili in poche parole, quelle della caposala del reparto: “Non troviamo sponde nel territorio fuori di qui, dove i bambini dovrebbero restare il tempo strettamente necessario per le prime cure. Strutture, spazi, comunità in cui trascorrere un periodo necessario prima del ritorno in famiglia, dove e per chi una famiglia c’è.”
Venerdì 9 novembre alle ore 14, nella sala di VareseVive si terrà un incontro con Alberto Gaino, Giulia Destefanis, Isidoro Cioffi e Alessandra Toni sui temi trattati nell’articolo e su altro.
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