Studenti in piazza contro l’indifferenza
Non erano tanti, ma è stato un segnale. Uno studente liceale spiega perché ha deciso di aderire allo sciopero

Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni di uno studente liceale che questa mattina ha partecipato al corteo di Varese
Era una protesta contro il degrado nelle scuole, ma non si parlava solo di questo.
Si è parlato di disuguaglianza, di alternanza scuola lavoro, di edilizia scolastica e di investimenti finanziari.
Il volantino, tra le altre cose, diceva “vogliamo liberare il sapere e la cultura rendendoli alla portata di tutti”. Con un obiettivo più che nobile come questo, non mi sarei mai aspettato che tra tutti i licei e istituti di Varese sarebbero stati presenti solo 150/200 persone.
È vero, non eravamo in troppi, ma è anche vero che molti studenti, scettici dell’organizzazione della nostra città, hanno preferito andare a manifestare a Milano, dove sarebbero stati nettamente più numerosi e dove avrebbero avuto la possibilità di confrontarsi meglio con altre realtà scolastiche.
Il corteo, partito da Piazza Monte Grappa alle 10 si è diretto a Villa Recalcati, sede della Prefettura, dove vari studenti hanno tenuto degli interventi sul diritto (altresì chiamato obbligo) di manifestare per migliori condizioni scolastiche.
Tra i (relativamente) pochi manifestanti c’ero anche io, studente del liceo classico Cairoli, e numerosi miei compagni ed è strano che a battersi per il diritto di tutti di ricevere un’istruzione gratuita e in condizioni ottimali ci sia la nostra scuola sebbene da noi non crollano i soffitti, la presenza delle videocamere non è invadente e la nostra attività di alternanza non si può considerare sfruttamento. Certo, ci sono molte cose che potrebbero essere migliorate, ma di certo non abbiamo motivo di lamentarci in confronto ad altre scuole di Varese.
Ed è proprio questo atteggiamento sbagliato di noncuranza e indifferenza a rendere triste la manifestazione, sapere che molte scuole con gravi problemi non siano interessate a migliorare la propria condizione.
Un atteggiamento sbagliato è stato però anche quello di numerosi professori (del classico come anche di altre scuole) che non si sono risparmiati di lamentarsi degli studenti pronti a fare di tutto pur di saltare ore di scuola. “La vera protesta si fa sui banchi di scuola” ha detto una professoressa. Andatelo dire all’istituto Verri di Busto Arsizio, che non possono nemmeno entrare a scuola per “vibrazioni sospette”.
A Milano uno striscione riportava la scritta “la scuola sicura è quella che non crolla, non quella con le videocamere”.
Non c’è da stupirsi del fatto che presto la protesta si sia tinta di sfumature politiche (ricordando che la stessa manifestazione a Milano ha preso il nome di il NO-Salvini-Day).
Forse una protesta come questa non porterà nessun cambiamento ma sicuramente, scendendo in piazza, abbiamo dimostrato che anche in una provincia come Varese ci sono giovani ai quali importa del diritto allo studio, che non sono d’accordo su come stanno andando le cose nelle scuole e che sperano in un miglioramento.
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